venerdì 30 novembre 2012

Gli Stones a Villefranche sul Mer

Per un'appassionata di musica, di vecchie foto e di anni '60 come me, queste foto sono come dei gioielli preziosi. Le guardo e penso a quanta storia c'è dentro e a come sarebbe stato divertente essere lì, anche solo a sbirciare dal buco della serratura (anche perché non saremmo mai riuscite a stare al passo con la loro follia, io e la mia buona educazione).
 






Foto di Dominique Tarlé, 1971.

mercoledì 28 novembre 2012

Muffin con pere e gocce di cioccolato


Da quando è iniziato l'autunno, non faccio altro che cucinare dolci e bere tè. Forse ho bisogno di consolarmi, di coccolarmi, di scaldarmi, forse è solo che questa stagione porta con sè la voglia di casa e di cucina...esattamente non lo so, so solo che sono ormai diventata un'esperta di muffin. Gli ultimi, diventati immediatamente i miei preferiti, sono alle pere e cioccolato. L'ispirazione l'ho presa qui e poi ho fatto qualche modifica.





Muffin pere e gocce di cioccolato


200 gr. di farina 00
100 gr. di burro a temperatura ambiente
2 uova
un pizzico di sale
100 gr. di zucchero di canna
1 tavoletta di cioccolato fondente da 100 gr.
1/2 bustina lievito per dolci
1 vasetto di yogurt bianco
1 pera

Spezzettare la tavoletta di cioccolato aiutandosi con un coltello dalla lama ben fredda. In una ciotola, lavorare le uova, lo zucchero e lo yogurt; quando il composto sarà omogeneo aggiungere il burro a tocchetti. Continuare a mescolare e aggiungere poco a poco la farina, il lievito e un pizzico di sale, facendo attenzione a non formare grumi. Quando l'impasto sarà liscio e omogeneo, aggiungere i pezzi di cioccolato. Pulire la pera, tagliarla a piccoli cubetti e aggiungerla all'impasto. Suddividere l'impasto in 12 stampini da muffin. Cuocere a 180° per 20/25 minuti (o comunque finché non saranno dorati in superficie).

lunedì 26 novembre 2012

Steve McCurry a Genova

Ci sono giorni in cui la cassaintegrazione è quasi una benedizione. Ti dimentichi di non avere più un ruolo sociale e ti godi unicamente il tempo regalato per fare quello che più ti piace. Come quando, una mattina di ottobre, ho deciso di andarmi a vedere la mostra di Steve McCurry a Palazzo Ducale. Ho scroccato un passaggio a chi un lavoro ce l’ha, sono arrivata in anticipo e ho combattuto il freddo e l’attesa con un cappuccino bollente e la lettura dei giornali. Al bar, di mercoledì mattina. Senza fretta. E poi la mostra.
 

Ovviamente, ero da sola. La prima ad arrivare e l’unica per tutto il tempo trascorso lì. La mostra, inutile dire, è meravigliosa. La prima sala è completamente buia, illuminata unicamente da ritratti coloratissimi di grandi dimensioni, in cui – come nella foto iconica di McCurry che tutti conosciamo – colpiscono gli occhi. Gli occhi della bambina afghana, quelli del nomade africano, del profugo, dell’immigrato, del bambino pakistano. Occhi che ti guardano da ogni lato, grazie all’allestimento della sala, e che ritornano a guardarti più volte. Occhi che ti chiedono conto di te stesso, della tua condizione di privilegiato e che ti costringono a riflettere sulla tua posizione rispetto a quella di colui o colei che stai fissando.

Da questa prima grande sala, dalla meraviglia e dallo stupore provocato dalla profondità del volto umano, si passa ad una piccola sala completamente riempita di foto di orrori, immagini di guerra, povertà, devastazione, immagini che riportano all’11 settembre, alla guerra del Kuwait, al terremoto in Giappone e a mille altre tragedie causate dalla mano dell’uomo. Lo shock si stempera nelle due sale successive, chiamate poesia e stupore, l’una riempita di infinite foto di piccole dimensioni che raccontano il mondo e la sua meraviglia e la successiva, in cui le foto dai colori vivissimi sono disposte su ogni muro, sul soffitto, in diagonale, di lato, in modo da costringerci a compiere più giravolte per vederle tutte, in una sorta di girotondo che celebra la vita, nella sua infinita complessità. La voce di McCurry accompagna tutta la mostra, grazie all’audioguida, e spiega alcune foto selezionate. Simbolo di tutta la mostra, per me, la foto di una donna indiana che chiede l’elemosina nella pioggia, dietro il vetro di un taxi, vetro che divide - nelle parole di Steve McCurry - tutti noi, occidentali privilegiati, dal resto del mondo in difficoltà.