Vi capita mai di essere in un posto, stare facendo qualcosa e sentirvi così felici di essere lì, in quel momento, godervi quello che vi sta capitando così tanto da volerlo urlare? Beh, a me succede spesso, fortunatamente, senza dubbio a tutti i concerti a cui vado, oppure la prima volta dell'anno in cui mi tuffo in acqua, esco e guardo in su, solo cielo e mare intorno e mi succede sicuramente quando leggo certi libri, certi brani così perfetti da farti venire in brividi dall'emozione. Ed è anche quello che mi è successo qualche giorno fa, visitando queste due mostre fotografiche.
Si tratta de La Spoon River contadina, dedicata alla realtà descritta da Nuto Revelli nel libro Il mondo dei vinti, e di 1936 - USA, Fuga dalla fame, che in qualche modo richiama Furore di John Steinbeck. Potevo non perdermi queste esposizioni, così legate a due libri che ho amato alla follia? Ho fatto di tutto per non farlo, mi sono trascinata a Genova reduce da un'influenza epocale e sono felice di averlo fatto. Entusiasta. Da salti di gioia, appunto.
Il percorso di visita si apre con la mostra dedicata alla Grande Depressione americana, che raccoglie immagini commissionate dal governo degli USA per testimoniare lo stato di prostrazione in cui si trovavano all'epoca i contadini americani. Alcuni fotografi, tra cui Dorothea Lange, hanno girato in lungo e in largo il Midwest americano ritraendo immagini di vita quotidiana: contadini in fuga dalle campagne verso la terra promessa californiana, latifondisti e braccianti di colore, persone in fila a elemosinare un po' di minestra, frotte di bambini cenciosi, vecchi dai volti rugosi e poi gli occhi, quegli occhi, addolorati, stanchi, disillusi. In quegli occhi credo di aver visto anch'io il fantasma di Tom Joad.
E, passando da una foto all'altra, ho ripercorso con lui il viaggio dall'Okhlahoma alla California. Prima sul furgone, poi a piedi, sotto una tenda improvvisata, in un campeggio di fortuna, lungo le strade polverose, insieme alla famiglia, un lungo viaggio di speranza dove la speranza è l'unica cosa che aiuta a mettere in fila i passi e a superare le difficoltà. E negli occhi di un bracciante e della moglie, occhi liquidi, vicini al pianto, sfiniti, rivolti verso il vuoto, ho visto quelli di Tom all'arrivo in California, una terra ben diversa dall'Eden tanto sognato.
Dalla serie di fotografie dedicate alla tragedia dei contadini americani, si passa a quelle che ritraggono i contadini di casa nostra. Il mondo dei vinti di Nuto Revelli, un libro toccante e prezioso, è una raccolta di testimonianze di contadini delle montagne e delle campagne cuneesi. Dipinge un mondo duro, spietato, fatto di fame nera e povertà inimmaginabile. E quel mondo, i suoi protagonisti, vengono ritratti da Bruno Murialdo e Paola Agosti nelle foto che sono esposte in mostra.
Le immagini sono più familiari, soprattutto per chi, come me, affonda le radici in quel mondo (molte delle foto appese sono identiche, cambiando i soggetti, a quelle conservate nelle scatole di latta in casa di mia nonna), ma la sofferenza è identica a quella che si coglie nei volti dei contadini americani. Le stesse rughe, la stessa stanchezza, lo stesso smarrimento. Volti dai lineamenti diversi, appartenenti a una cultura diversa, a migliaia di chilometri di distanza, che vivono la stessa esperienza di straniamento. Un mondo che cambia, radicalmente, lasciando i protagonisti indifesi e abbandonati.
Si tratta de La Spoon River contadina, dedicata alla realtà descritta da Nuto Revelli nel libro Il mondo dei vinti, e di 1936 - USA, Fuga dalla fame, che in qualche modo richiama Furore di John Steinbeck. Potevo non perdermi queste esposizioni, così legate a due libri che ho amato alla follia? Ho fatto di tutto per non farlo, mi sono trascinata a Genova reduce da un'influenza epocale e sono felice di averlo fatto. Entusiasta. Da salti di gioia, appunto.
Il percorso di visita si apre con la mostra dedicata alla Grande Depressione americana, che raccoglie immagini commissionate dal governo degli USA per testimoniare lo stato di prostrazione in cui si trovavano all'epoca i contadini americani. Alcuni fotografi, tra cui Dorothea Lange, hanno girato in lungo e in largo il Midwest americano ritraendo immagini di vita quotidiana: contadini in fuga dalle campagne verso la terra promessa californiana, latifondisti e braccianti di colore, persone in fila a elemosinare un po' di minestra, frotte di bambini cenciosi, vecchi dai volti rugosi e poi gli occhi, quegli occhi, addolorati, stanchi, disillusi. In quegli occhi credo di aver visto anch'io il fantasma di Tom Joad.
E, passando da una foto all'altra, ho ripercorso con lui il viaggio dall'Okhlahoma alla California. Prima sul furgone, poi a piedi, sotto una tenda improvvisata, in un campeggio di fortuna, lungo le strade polverose, insieme alla famiglia, un lungo viaggio di speranza dove la speranza è l'unica cosa che aiuta a mettere in fila i passi e a superare le difficoltà. E negli occhi di un bracciante e della moglie, occhi liquidi, vicini al pianto, sfiniti, rivolti verso il vuoto, ho visto quelli di Tom all'arrivo in California, una terra ben diversa dall'Eden tanto sognato.
Dalla serie di fotografie dedicate alla tragedia dei contadini americani, si passa a quelle che ritraggono i contadini di casa nostra. Il mondo dei vinti di Nuto Revelli, un libro toccante e prezioso, è una raccolta di testimonianze di contadini delle montagne e delle campagne cuneesi. Dipinge un mondo duro, spietato, fatto di fame nera e povertà inimmaginabile. E quel mondo, i suoi protagonisti, vengono ritratti da Bruno Murialdo e Paola Agosti nelle foto che sono esposte in mostra.
Le immagini sono più familiari, soprattutto per chi, come me, affonda le radici in quel mondo (molte delle foto appese sono identiche, cambiando i soggetti, a quelle conservate nelle scatole di latta in casa di mia nonna), ma la sofferenza è identica a quella che si coglie nei volti dei contadini americani. Le stesse rughe, la stessa stanchezza, lo stesso smarrimento. Volti dai lineamenti diversi, appartenenti a una cultura diversa, a migliaia di chilometri di distanza, che vivono la stessa esperienza di straniamento. Un mondo che cambia, radicalmente, lasciando i protagonisti indifesi e abbandonati.
sembra sempre di viverle, le storie, quando le racconti tu.
RispondiEliminaTu mi vuoi troppo bene, ormai è chiaro.
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