Come ho scritto a Elena quando mi ha mandato il Leggermente di marzo, questo post è stato un regalo. Ogni suo post è un dono speciale, ma questo lo è ancora di più. Perché arriva in un momento complicato, doloroso, in cui il tempo è lentissimo e inesorabile. In periodi del genere, la bellezza è un grandissimo aiuto e quando ti arriva inaspettata lo è ancora di più. Quindi grazie Elena per questa recensione preziosa di un libro preziosissimo.
L'ho già scritto sul mio blog che la scorsa è stata una settimana particolarmente difficile. Brutte notizie poi diventate buone, ansie (enormi ansie) inutili, condizioni personali che speravo ormai lontane e che in realtà si sono dimostrate più sveglie e attive che mai.
L'ho già scritto sul mio blog che la scorsa è stata una settimana particolarmente difficile. Brutte notizie poi diventate buone, ansie (enormi ansie) inutili, condizioni personali che speravo ormai lontane e che in realtà si sono dimostrate più sveglie e attive che mai.
Dunque, quando ho scelto la recensione per Cindy, ho deciso di vincere facile.
Sapevo già di andare sul sicuro, sia per quanto riguarda il libro, sia per la colonna sonora e tutte le considerazioni del caso.
Per facilitarmi ulteriormente le cose ho lasciato campo libero all'istinto e ho pescato, come musica di accompagnamento del post di marzo, quella del film Lost in Translation.
Inutile dirvi quanto abbia amato questa pellicola, ma del resto è dai tempi dei Ghostbusters che Bill Murray per me non ne sbaglia una. Chi non è d'accordo metta il dito qui sotto (o lasci un commento, sempre qui sotto).
Dunque, si sarà ormai capito, il libro che ho scelto è Lost in Translation di Ella Sanders, Marcos y Marcos Edizioni.
So per certo che Cindy ne sarà entusiasta, e come lei molte delle mie compagne di blog, che hanno adorato questo libro sin dal primo momento e lo hanno scritto su tutti i social disponibili. Io l'ho ricevuto in dono da mia mamma; non sospettava minimamante quanto in realtà lo volessi comprare, aveva semplicemente raccolto sufficienti punti in libreria per un acquisto da quindici euro e il meraviglioso libretto orizzontale ha attirato la sua attenzione.
Lost in Translation è una raccolta, un elenco di parole intraducibili che però trovano pieno significato ed espressione di sé nella loro lingua d'origine.
Ci sono espressioni, per esempio, usate per descrivere la quantità d'acqua contenibile da due mani giunte a scodella. C'è il vocabolo che indica il senso di aspettativa di una persona che attende visite (rarissime) sull'uscio di casa: una parola inuit e non poteva essere altrimenti.
Ogni definizione è accompagnata da disegni bellissimi, essenziali ma poetici, allegri e malinconici contemporaneamente, in grado di rendere perfettamente l'atmosfera che sono chiamati a illustrare.
Naturalmente, proprio come succedeva con i cataloghi di abbigliamento semi economico, semi classico, semi cotone, che usavano quando ero piccola (e che venivano recapitati all'immancabile zia di turno, spacciatrice ufficiale di riviste fashion), il modo migliore per leggere questo libro è sfogliarlo. Perdendosi tra le pagine, scegliendo la parola che più ci colpisce, per il suo suono, per il suo significato, per la storia che porta con sé.
La mia è KOMOREBI e rappresenta la luce che filtra attraverso le fronde degli alberi, quella perfetta condizione dorata, così difficile da trovare, così meravigliosamente impossibile da ignorare. Chiunque, ne sono convinta, si trovi a passeggiare in un parco (bosco, foresta, giardino) nel magico momento in cui il sole passa silenzioso tra le foglie, tagliando lo spazio con decine di lame di polvere luminosa, non può che rimanere colpito, affascinato, da tanta bellezza.
I giapponesi hanno riassunto tutto questo in una parola.
Così come i tedeschi hanno scelto Waldeimsamkeit per spiegare come ci si sente a camminare da soli in un bosco (inutile dire che questa è la mia seconda parola preferita).
E dunque, prima di chiudere, pensavo: Ma la vostra qual è?
Chi di voi ha modo di sfogliare il libro e ha voglia di lasciare la sua definizione del cuore può farlo nei commenti qui sotto... sarà il benvenuto! L'inventore di mostri, ad esempio, so che indicherà senza indugio Gurfa, e tu, Cindy?
Ecco cosa dice il paragrafo dedicato a Komorebi, la mia parola del cuore:
"Per un attimo può accecare, ma è senza dubbio bellissima. C'è qualcosa di straordinariamente suggestivo e magicamente unico nella luce del sole che filtra attraverso il verde delle foglie".