Solitamente, prima di vedere una mostra, ho l'abitudine di non leggere nulla in merito, nessuna recensione, nessun commento, nessun comunicato stampa. Se una mostra mi ispira, per qualsiasi motivo, vado e la guardo. Mi diverto a lasciarmi sorprendere. Se poi la mostra mi piace, leggo tutto quello che trovo in proposito. In pratica tutto questo per dire, in maniera piuttosto elegante, che sono una grande ignorante. Curiosa, ma ignorante. Ciò vale ancora di più nel caso di Stanley Kubrick: credo che Shining sia l'unico suo film che io abbia visto (sì, pensate pure male di me, sono una ragazza mediamente simpatica, piena di argomenti, ma non ho cultura cinematografica. In passato ero troppo impegnata a leggere libri e ad ascoltare gli Smiths per trovare tempo anche per i film e non riuscirò mai a mettermi in pari. Perdonatemi) e non sapevo che fosse un fotografo. L'ho saputo quando ho visto l'annuncio della mostra a Genova. Ehm, ma direi che può bastare come confessione, se dopo questo continuerete ancora a seguirmi, vorrà dire che mi volete davvero bene.
La mostra, dicevamo. Bellissima. Per renderla perfetta, avrei giusto aggiunto un sottofondo musicale jazz, ma io non sono mai contenta, si sa. Come detto, non sapendo nulla di Kubrick e della sua abilità di fotografo, ho deciso di entrare e lasciarmi affascinare. Detto, fatto. Tre cose soprattutto mi hanno colpita. Innanzitutto, il protagonista è l'uomo. Credo di ricordare solamente una manciata di foto in cui non sono presenti persone, forse uno o due paesaggi, qualche immagine cittadina, per il resto la figura umana è sempre presente. Nella maggior parte dei casi, la figura umana, solitaria, è la protagonista indiscussa della foto, sia essa una modella, un pugile, un clown, un musicista, un bambino oppure un semplice passante. Si tratta di un grandissimo inno alle diverse sfaccettature dell'essere uomo, nelle difficoltà della povertà, nei fasti della ricchezza, nell'innocenza della gioventù.
Si tratta inoltre, di una mostra fatta di sguardi. Ovviamente, tutto parte dallo sguardo del fotografo, ma questo sguardo rimbalza in quello dei suoi soggetti (come nella famosa foto in cui Kubrick si ritrae riflesso nello specchio di una modella). Le persone, come già detto, sono protagoniste e di loro spicca soprattutto lo sguardo. Lo sguardo attento di una donna che scende le scale con una pila di libri in mano, quello perso nel vuoto di un Montgomery Clift steso sul pavimento della sua stanza con una bottiglia in mano. Gli occhi pieni di sfida di un pugile che si prepara a un incontro, quelli pieni di meraviglia dei bambini di un orfanotrofio davanti a un alce. E ancora la modella che si guarda allo specchio, la scimmia nella gabbia che guarda la folla di visitatori dello zoo, la coppia in viaggio di nozze che guarda lontano. Centinaia di foto, centinaia di sguardi, ognuno a significare uno stato d'animo ben preciso.
Infine, si tratta di una mostra cinematografica. Fotografica, sì, ma con caratteristiche cinematografiche. Eh, insomma, si vede che il nostro sarebbe diventato un gran regista (va bene, abbasso la cresta ed evito inutili ironie). I suoi reportage fotografici altro non sono che meravigliosi, piccoli cortometraggi su carta. C'è la storia di Mickey, che fa il lustrascarpe e di cui Kubrick ci racconta una giornata, fatta di lavoro, amici, un hot dog, tempo passato a giocare a carte e semplice quotidianità. C'è il breve film su Rocky Graziano, il pugile che ci mostra la sua vita privata, i momenti in famiglia, la preparazione per l'incontro, con l'ansia che sale insieme alla concentrazione. Ma c'è anche la storia di Rosemary Williams, che fa la modella, quella di un furgone speciale, "il mezzo più sicuro della polizia di New York", il film che racconta un viaggio di nozze in Portogallo e quello che mette a nudo la debolezza di una grande star. Un'infinita serie di storie raccontate da un grandissimo maestro, per il quale le immagini sono davvero una vocazione (e adesso corro a leggermi tutto il possibile sul Kubrick fotografo).