Ho deciso di leggere il libro di Gabrielle Hamilton dopo aver visto una sua foto. Ricordo di aver letto la recensione del libro su qualche sito, nelle mie eterne peregrinazioni in rete, e di essere stata colpita dall'immagine che la ritraeva. Si trattava di un ritratto in bianco e nero, lei aveva un sorriso appena accennato e i capelli biondi legati in due trecce composte. Il suo sguardo comunicava serenità, consapevolezza e fiducia, un po' come l'amica a cui puoi raccontare tutto sapendo che ti capirà sempre, senza giudicarti. Quello sguardo mi ha conquistata, la recensione era positiva e ho subito ordinato il libro. Poi, come spesso mi capita, il libro è finito nella pila (quasi infinita) dei libri da leggere e me ne sono scordata. Tempo fa l'ho ripreso, l'ho divorato e alla fine, memore di quella foto che mi aveva colpita, pur non ricordandomi il perché, sono andata a cercarla. Però, stranamente, il volto che mi veniva restituito non era quello che immaginavo dopo aver letto il libro. Credevo di trovare il viso di una donna segnata dalla vita, dai dolori, dall'immensa fatica di portare avanti una famiglia e un'attività massacrante e invece ho ritrovato quel volto che tanto mi aveva colpita all'inizio, il ritratto della serenità e della consapevolezza.
Quello sguardo mi ha fatto ripensare a tutta la storia raccontata nel libro e mi ha dato un motivo in più per innamorarmi di Gabrielle. Eh, sì, perché nel leggere il libro mi sono innamorata della protagonista, come solo le donne sanno innamorarsi delle donne. Mi sono innamorata di Gabrielle bambina e della sua vita, l'infanzia che ognuna di noi avrebbe voluto vivere, figlia di un'artista e di un'affascinante donna francese, libera di scorrazzare in lungo e in largo con la tribù dei fratelli e testimone di feste fantasiose organizzate dai genitori. Mi sono innamorata di Gabrielle adolescente, che nonostante le difficoltà e i passi falsi sa sempre rimettersi in piedi, non si fa piegare e riesce ogni volta a porsi un obiettivo per non perdersi, sia esso un viaggio all'estero, la scrittura, il college, il lavoro. E poi è impossibile non innamorarsi di Gabrielle adulta, che ha il coraggio di aprire un'attività sulla base di una semplice intuizione e di un sogno, senza farsi abbattere e sapendo trovare dentro di sè la forza per andare avanti. In tutto questo, quello che mi ha colpita maggiormente è stato realizzare che tutte le difficoltà, i dolori, la fatica non hanno plasmato una donna dura, bensì la donna capace di quello sguardo pieno di calma e di pace.
Ho iniziato a leggere questo libro credendo di trovare unicamente la storia di uno chef, in realtà vi ho trovato la storia di una donna, che sì è uno chef, ma avrebbe potuto essere anche una sarta, la proprietaria di un'azienda, una parrucchiera, una contadina o altro. Questo libro è in primis la storia di una donna e della sua forza ed è questo che mi ha fatto appassionare così tanto a Gabrielle e alla sua storia. Certo, nel libro c'è anche tantissimo cibo e tanta cucina e c'è anche tanta Italia, visto che il marito (oggi ex) di Gabrielle è italiano e per anni hanno trascorso le vacanze in Puglia, dai parenti di lui. C'è tanta Italia, raccontata senza la visione edulcorata e sognante dei molti americani che scrivono d'Italia, ma con uno sguardo attento ai profumi, alla tradizione, alla ricchezza della cucina e al tempo stesso irritato dall'indolenza così tipica del nostro paese. Vorrei raccontarvi tutto di questo libro, tanto mi ha entusiasmata, ma sarebbe bello potervi raccontare anche di Prune, il ristorante di Gabrielle Hamilton. Qui ci vuole un viaggio a New York, perché, dopo aver letto questo libro, il cibo mangiato lì avrà un gusto davvero speciale.
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