Torna Daria con un Tea for Two che le ho chiesto con insistenza. Sapendo del suo incontro con Guido Harari, volevo che mi raccontasse quel momento, quell'emozione, quella gioia incredibile nell'incontrare una persona così importante. E lei lo ha fatto in maniera magistrale, ovviamente. Buona lettura.
Arriva l’estate e su internet si sta sempre meno.
Una disintossicazione che si accompagna alle giornate che si allungano, ai giri in moto, alle birre all’aperto, ai concerti. Ehhh. Hai voglia.
Chissà perché, dai tempi della scuola, ci portiamo dentro quella sensazione di stacco a metà giugno. Abbiamo interiorizzato quell’orologio che ci regala sempre l’impressione (ormai illusoria, ahinoi) di avere davanti tre lunghi mesi di vacanza.
Per questo il mio capodanno scatta sempre a settembre. Il capodanno dei buoni propositi, dei progetti, della ripresa.
Ma di questo parleremo a tempo debito.
La mia estate è iniziata sotto la pioggia, con un giro in auto anzichè in moto, per le Langhe.
Non tanto distante, quindi. Pertanto uno dei preferiti dalla sottoscritta che, oltre a sentirsi un po’ a casa in quelle terre, non ama preparare valigie e affrontare viaggi lunghi e lontani.
Lo dico, sì, vorrei andare in Norvegia, ma poi mi basta la celebre Pedaggera per sentirmi fuori dal mondo.
E Alba non sarà Bergen, ma nel suo piccolo fa la sua porca figura.
Soprattutto per la tappa obbligata alla Wall of Sound Gallery che tanto bene vi descrisse la Queen.
Tappa che questa volta si è rivelata particolarmente emozionante perché dentro c’era proprio lui, il mito, l’uomo a cui vorrei chiedere mille cose, che vorrei invitare una sera a bere per farmi raccontare di Tom Waits, di Lou Reed e di Frank Zappa, dei fotografi che a sua volta ha incontrato, della magia della pellicola e poi di musica, musica e ancora musica.
Immaginate la mia faccia quando, fotografando la galleria dall’esterno, ho visto il sorriso di Crösa che mi indicava Guido Harari seduto dentro.
E lo so che la galleria è sua e che c’è poco da sorprendersi nel trovarlo lì, ma io generalmente non ho culo tempistico in questo genere di cose.
L’occhio di Guido Harari su Tom Waits
Entriamo e lui ci accoglie con un bel sorriso e un “prego, accomodatevi, guardate tranquilli e se volete, chiedete”.
Guido, tu non sai cosa hai rischiato con quel “se volete, chiedete”. Ma per fortuna l’emozione è tanta, per il posto innanzitutto, un santuario di musica e fotografia (la prima volta in cui ci entrai ero talmente in estasi che, usciti da lì, Crösa ne approfittò per comprarsi una moto e io quasi non me ne accorsi. Mossa magistrale).
E poi l’emozione è tanta, naturalmente, perché questa volta c’è lui.
Finito il nostro giro, lo guardo, lui mi guarda in attesa e sento che gli devo proprio dire almeno una cosa. Sapete quando vi scoppia nella testa una frase che vorreste dire da tempo e si presenta l’occasione perfetta?
Così con la faccia rossa rossa, le orecchie roventi e lo sguardo un po’ abbassato riesco a dirla:
“Ogni volta me lo chiedo e non so cosa rispondermi. Ma non so davvero se invidio di più lei che li ha conosciuti o loro, che stati fotografati da lei”.
Lou Reed e Guido Harari. E io dov’ero?
Sarà stata la tenerezza infinita che gli ho fatto, con la faccia rossa e la custodia della macchina fotografica al braccio, ma è scoppiato a ridere dicendo “troppo buona, non esageriamo”.
Da lì abbiamo chiacchierato un po’, ci ha invitati alla prossima mostra su Jeff Buckley a settembre e siccome andando via ci ha stretto la mano, una volta fuori ho imposto subito la mano che mi aveva toccato sulla mia macchina fotografica, sperando in una benedizione imminente.
Poi mi guardavo la mano che aveva stretto la sua che, a sua volta, aveva stretto quella di Lou Reed Tom Waits Frank Zappa e tanti altri e che tante macchine fotografiche aveva toccato ed era un po’ come se tutte quelle cose le avessi fatte pure io.
In questa giostra di emozioni, mercoledì sono andata a vedere gli Aerosmith.
Io sono là ancora adesso ma se in questo momento mi dicessero “dai, esprimi un desiderio”, beh, io vorrei fotografare Steven Tyler. Un set vero e proprio, ideato interamente da noi due, con lui e tutti i suoi colori lì, davanti al mio obiettivo.
E alla fine gli chiederei solo: “dai, Tallarico, dedicami un urlo”.
I Toxic Twins a Milano (25/6/2014). Foto di Francesco Prandoni
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