Sono felicissima di annunciarvi il ritorno di Veronica e della sua musica. Ci era mancata, vero? A me tantissimo. John Mayer, l'amore di cui ci parla oggi, è stato il suo regalo per la mia estate. Lei se ne era innamorata al concerto dei Rolling Stones e mi aveva scritto un messaggio così pieno di sentimento che mi son sentita in dovere di correre ad ascoltarlo anche io. Bum. Follemente innamorata pure io. Chissà, sarà stato per il clima un po' matto di quest'estate - come dice Veronica -, sarà che John ci sa davvero fare, non so...fatto sta che la sua musica ha scandito le mie giornate e continuerà a farlo per molto tempo. Grazie Veronica, non potevi farmi regalo migliore. Buona lettura!
Dopo la pausa estiva sentivo la necessità di tornare a trovarti, stavolta cercherò di stupirvi con effetti speciali e fuochi d’artificio. Insomma, il mio amore per John Mayer ormai non è più un segreto e diciamo che gran parte dell’estate - estate? Quale estate? - io l’ho passata in sua compagnia.
L’estate è stata altalenante e nostalgica, di quelle che somigliano all’autunno, di quelle che ti fanno pensare a cosa facevi dieci anni prima. Il tempo, dunque, è stato il tema della stagione passata, quello che passa purtroppo e per fortuna. John è uno di quelli che tempo fa, ha ampiamente descritto il processo di “crescita” in una di quelle canzoni che ho consumato durante gli ultimi mesi. La canzone di cui vi parlo oggi, dunque, si chiama Stop this Train e per capire il pathos e approfittare della vista di un piacente giovane, vi esorto a guardare il filmato del live al Nokia Theatre in LA.
La canzone parla del tempo che passa, delle vicende che ci attanagliano, delle cose che vorremmo evitare, della sensazione di protezione e conforto che sarebbe quella di poter tornare indietro, quando tornare a casa significava davvero tornare a casa, quella dove siam stati cresciuti e amati, dove abbiamo alimentato i nostri sogni, dove abbiamo pianto le nostre sconfitte.
Pensate a quanto potrebbe essere confortante, andiamo dietro di qualche anno, vi racconto quello che era per me tornare a casa:
siamo appena usciti da scuola, volano baci e promesse di telefonate pomeridiane, ci si dirige verso l’autobus che è sempre in ritardo, altri baci e altre promesse, si sale e si caccia un libro dallo zaino. Dopo circa venti minuti di corsa si scende alla fermata dopo altri baci e altre promesse. L’auricolare butta fuori una canzone di un certo Maximilian Hecker, amore di gioventù – niente a che vedere con John -, si percorrono circa 200 m e si è nella via di casa, già si intravede il balcone bianco, citofoniamo: “chi è?” “sono io”. Si entra a casa, profumo di ragù, svolta a sinistra sul corridoio, mio nonno seduto al solito posto mi sorride. Stop. E’ lì che vorrei tornare.
Poco rock’n’roll, lo ammetto, lo premiamo comunque il tasto play?
Questo tuo ricordo mi suona così famigliare che mi è salita la nostalgia...peró manca John a farmi da sottofondo e non va bene ;)
RispondiEliminaChe bello ripensare a quei rientri a casa, i miei erano sempre troppo lenti perché pieni di chiacchiere e risate, con mia mamma che mi attendeva affamata e innervosita. Che bello il gesto di buttare lo zaino a terra e sedersi a tavola, davanti a una confortante pasta al pomodoro, pensando già al pomeriggio e alle cose da fare. Grazie di avermi riportato a quei momenti, mai come ora vorrei poterci tornare un po' e sentirmi al sicuro come mai dopo allora.
RispondiEliminaBaci.
PS: John fa strani effetti, eh?