venerdì 29 gennaio 2016

Mi piace quando Vero preme play

Buon venerdì, amici del cuore. Oggi, in via del tutto eccezionale rispetto alla solita pubblicazione del mercoledì, va in onda Vero e il suo Mi piace quando Vero preme play. Dico "va in onda" perché c'è una grande novità: a partire da oggi, Vero sarà anche in video. 

Quando Vero me lo ha detto, ho fatto i salti di gioia. Conoscendola, sapevo che ogni video sarebbe stato fonte di risate, musica e di un po' di sana e intelligente stupidera, ché ce n'è così tanto bisogno. E non mi sono sbagliata, giudicate un po' voi. 

Cari amici, il 2016 comincia con una buona notizia e una brutta notizia

Noi che non siamo mainstream iniziamo con le belle notizie ovvero con il fatto che quest’anno, per quanto riusciremo, il momento play sarà un momento video, il che vuol dire tanto divertimento per me e tanto sfinimento per voi. La brutta notizia è che con il 2016 se n’è andato anche il nostro amato David Bowie.

Ora, oggi non parleremo di David ma mi sembrava giusto dire che anche se lo amo alla follia, questo è il momento di introdurre i Troggs.


I Troggs sono un gruppo britannico famoso negli anni ottanta per pezzi come Wild Thing che è quello di cui parleremo oggi. Questo di cui vi parlo è un pezzo che è stato reinterpretato da un numero altissimo di artisti di grande calibro come Jimi Hendrix e le Runaways. I Troggs sono principalmente famosi per questa canzone, tant’è che ne vivono ancora di rendita. La canzone nasce nel 1965 ed è composta per un gruppo che si chiama The Wild Ones ma è portata al successo dai nostri Troggs ed è la loro versione che è quella più  conosciuta nel mondo.



Il Canada mi ha deviato e ogni mio bel ricordo proviene da quella terra fredda ma gioiosa. La scelta di Wild Thing deriva da un ricordo che mi è rimbalzato in mente tempo fa. Eravamo ad una cena, un sabato d’Agosto in Ontario, la mia amica Chloe, stava parlando della sorella e di come questa da piccola avesse chiamato il suo criceto “Wild Thing” -just like that song!- . Io, allora, non conoscevo ancora la canzone  e fu quello un buon momento per colmare questo gap.

Noi siamo abbastanza vicini alle tematiche Wild, vi ricordate il post su Iggy Pop? Non sarebbe male cominciare a pensare ad una Wild Playlist, nevvero?

Cinzia tu che ne dici, e voi amici, any suggestions?

Intanto andiamoci ad ascoltare Wild Thing.



[Come tutte le altre rubriche ospiti qui a casa di Cindy, anche quella di Vero ha la sua playlist. Buon ascolto!]. 

mercoledì 27 gennaio 2016

Leggermente: Storia Piccola

Quando Elena mi ha mandato il Leggermente di questo mese mi ha avvisata: ci saranno lacrime. Non ho versato alcuna lacrima perché non ho letto il libro, ma la recensione di Elena, delicata, profonda, perfetta, come sempre mi mette voglia di correre in libreria a comperarlo, anche se vorrà dire commuoversi e piangere un po'. 

Buona lettura e grazie, come sempre, a Elena, che riempie questo blog di bellezza. 

[Con questa puntata, siamo esattamente a un anno di Leggermente, una rubrica che mi ha arricchita tantissimo, non solo dal punto di vista letterario, ma anche per quel che riguarda le suggestioni musicali. Per l'occasione, ho raccolto tutte le canzoni suggerite da Elena nei suoi post in questa playlist, che continuerò ad aggiornare con i prossimi Leggermente]. 


Sottotitolo: gli amici lo sanno.

Ho scritto per la prima volta di questo libro qui, al punto numero nove.
Poi ho condiviso sulla mia pagina una recensione che dice tutto quello che si deve sapere e me ne sono definitivamente innamorata.
Storia Piccola mi è stato regalato a Natale, l'ho scartato la sera del 23 Dicembre insieme a Vanessa, Eugenio, Marco, Manuela, Francesca, Luca, Andrea, Elisa, Cecilia, Gabriele, Martino e Adele. Sono i miei amici, che in realtà normalmente chiamo con un soprannome, e che mi conoscono così bene da andare sempre a colpo sicuro. Non sbagliano mai.


Questo libro illustrato è davvero una storia piccola, che racconta però la storia più grande che esista: la nascita di un essere umano, Beniamino. Sembrano esserci poche pagine, pochi colori, poche parole, ma ci sono in realtà moltissime pagine, moltissimi colori, moltissime parole. A guardare bene si incontrano il rosso mattone, il giallo ocra, il verde bosco, il bianco crema, l'azzurro chiaro, il blu cobalto, il verde oliva, il beige scuro, il grigio pallido, il rosa tenue, il verde acqua, il marrone bruciato, il carta da zucchero e chissà quanti ne sto dimenticando. 


L'ho letto la prima volta davanti a tutti... mi sono commossa. Allora, sperando di sortire lo stesso effetto, l'ho passato agli altri: beh, quasi tutti hanno versato una lacrima, tirato su col naso, inumidito gli occhi.

Perché, a parte i bellissimi disegni, Storia Piccola è parole. Sembra un frullato di poesie scritte per i bambini, ma pronte a toccare le corde più intime degli adulti. Io me la immagino, una mamma che legge seduta ai piedi del letto del suo piccolo nel dormiveglia e che si commuove così tanto da non riuscire a continuare.


Perché questo libro emoziona le persone non solo in quanto genitori, ma, soprattutto, in quanto figli. Non è detto che siamo tutti genitori di qualcuno ma è certo che siamo tutti figli, io per adesso ne sono un esempio perfetto. Le pagine che si susseguono, scandite dalle parole che Beniamino impara piano piano a pronunciare, facendole sue, raccontano la crescita di ognuno di noi. 


Non lo fanno però come in un libro per l'infanzia qualsiasi, lo fanno così:
"Passavano i giorni, collane di giorni.
E Beniamino cresceva e andava imparando
le cose. E le parole musica delle cose, e le parole
che fanno le cose".

Capite bene che così è poesia, così è scrittura che fa bene al cuore, al cervello e alla pancia contemporaneamente. Come un profumo.


Per questa ragione scegliere una citazione non è stato affatto semplice, anzi. Avrei potuto sbattervi qui l'ultima pagina, quella su cui tutti gli occhi hanno ceduto. Ma sarò giusta, non lo farò.
Vi scrivo però un piccolo brano che per me raccoglie il senso della vita, riassumendo come ogni cosa racchiuda il suo opposto e da esso venga continamente valorizzata:

E dopo, il freddo racconta la compagnia
del fuoco; il silenzio, la melodia dei violini;
un fiore, la filastrocca delle stagioni; il dentro,
il fuori; l'adesso, il dopo.

venerdì 22 gennaio 2016

Chiacchiere del venerdì

Foto Kris Atomic su Unsplash

Buongiorno, buon venerdì e bentornati al nostro momento di chiacchiere. Io sono una gran chiacchierona e quindi, ve lo confesso, non vedevo l'ora. Come state? Come sta andando questo gennaio? Fa freddo? Io sto abbastanza bene, gennaio è sempre un mese speciale perché c'è il mio compleanno, che è sempre un momento per farmi un bel po' di coccole

Lo scorso anno avevo festeggiato a Parigi con una cenetta in casa a base di vino, formaggi e pane fresco, quest'anno sono rimasta qui ma ho comunque trovato il modo di festeggiare in maniera speciale: ho fatto colazione al bar, una spesa veloce al mercato della terra, una lunghissima passeggiata al mare in una giornata così tersa da commuovere, ho pranzato con un aperitivo rinforzato, ho passato il pomeriggio a dormire per poi festeggiare alla sera con gli amici. Insomma, per stare bene non serve andare lontano, no? 

Comunque, veniamo a noi. Cosa avete fatto di bello in queste sere di gelo? Io ho guardato un bel po' di film e di documentari. 

- per quel che riguarda i documentari, di The True Cost vi ho già parlato nel mio ultimo post, quindi non sto a tediarvi ancora. Ho anche visto Happy, una riflessione delicata sui meccanismi che generano la felicità, che fa davvero pensare al modo in cui scegliamo di vivere la nostra vita. E poi ho visto This Was Tomorrow, un documentario su Tomorrowland, un festival di musica dance che si tiene ogni anno in Belgio e in alcune altre località nel mondo. Se amate quel genere di musica, vi esalterete come pochi.

- ovviamente ho visto anche qualche film. Ho visto Pride, probabilmente il film più bello che abbia visto quest'anno. Non so se lo ricordate, è di qualche anno fa, e parla della lotta di un gruppo di gay e lesbiche a sostegno dei minatori inglesi. Bellissimo. Poi ho visto Monsoon Wedding, che mi ha messo una grandissima voglia di comperare un biglietto per l'India e partire subito, Precious, uno dei film più drammatici e strazianti che abbia mai visto (meno male che il finale è a lieto fine, altrimenti non so se sarei sopravvissuta), e poi ho rivisto Fight Club, che non vedevo da anni, e mi son chiesta: "ma come ho fatto a scordarmi la meraviglia della scena finale, con Where Is My Mind? in sottofondo?". 

- ho iniziato l'anno alla grande leggendo la meravigliosa Simone De Beauvoir, scrittrice che adoravo quando stavo al liceo e che poi ho abbandonato. Perché, poi. Mah. Ho anche letto Un comunista in mutande, in cui Claudia Piñeiro racconta della sua infanzia in Argentina e di suo padre, e ora sto faticando con Philip Roth. Grande scrittore, eh, ma come mi capita con molti altri scrittori americani, inizio i suoi libri con il massimo entusiasmo e a metà vorrei buttarmi sotto un ponte. Ma tengo duro, ce la farò. (Lo so, è diritto del lettore non leggere un libro fino alla fine, ma io non riesco a mollarli lì). 

- potevo non parlarvi di YouTube? Ci sto come a casa, ormai. Le mie ultime scoperte sono Yoga With Adriene, un canale tutto dedicato allo yoga che propone anche una serie di percorsi quotidiani. Lei è fantastica e già solo la sua voce è terapeutica e rilassante. Visto che sono troppo pigra per uscire fuori al freddo e andare in palestra, magari riesco a fare yoga a casa per conto mio. Vi farò sapere. La mia passione del mese, però, è Andrea Dabene, una fotografa francese che vive - al momento - in Montana. Già il suo Instagram è fantastico, i video girati in mezzo alla natura sono oltre. 

- le belle scoperte del mese sono un sito che si chiama Every Noise At Once, che contiene una mappa di tutta la musica del mondo e che ho scoperto grazie alla newsletter Una cosa al giorno, che propone bellezza quotidiana. A proposito di newsletter, amo tantissimo quella di Lara dice no, una delle due menti dietro Peter & Wendy, marchio di cui sfoggio fieramente magliette e felpette: con cadenza assolutamente casuale, Lara scrive delle lettere, compilando una sorta di blog che ti arriva direttamente a casa. 

- la bellezza quotidiana è alimentata dalla tazza di Bowie di Pollaz, che mi sono regalata per Natale, e il calendario giornaliero di Flow Magazine. E' un calendario da scrivania di quelli che si strappano e ogni giorno c'è una piccola gioia. Mi fa felice. 

In tutto questo, la colonna sonora è sempre stata questa:


mercoledì 20 gennaio 2016

The True Cost e la mia vergogna

Photo Hannah Morgan su Unsplash

Ieri sera ho visto un documentario che mi ha cambiato la vita. Anzi, mi correggo, ho visto un documentario che spero mi cambi la vita. Anzi, mi correggo ancora, ho visto un documentario che spero mi costringa a cambiare la mia vita. Si tratta di The True Cost, consigliato qualche giorno fa da Gaia Segattini con un'urgenza tale da spingermi a vederlo non appena mi fosse stato possibile. 

E così è stato. Appena ho avuto un attimo, sono andata su Netflix e via. Anche se, devo confessarlo, prima di far partire il documentario ho esitato un secondo. Sapevo che sarebbe stata dura, sapevo che mi sarebbero state dette cose che non volevo sentire, sapevo che non avrei più potuto fare finta di niente. Infatti. 

Che cos'è The True Cost? Si tratta di un documentario che affronta la tematica della produzione industriale di abiti e dell'impatto che ha sull'ambiente e, soprattutto, sulla vita delle persone che tali abiti li producono. E' un documentario che analizza tutta la filiera produttiva, la produzione dei materiali, la realizzazione dei vestiti, l'acquisto compulsivo e le montagne di rifiuti che ne derivano, mettendo in luce una realtà drammatica: migliaia di persone muoiono e intere regioni del mondo vengono inquinate affinché noi possiamo pagare una maglietta dieci euro. 

Il documentario è spietato non solo perché mette in luce la triste realtà in cui vivono i lavoratori in paesi come il Bangladesh e la Cambogia o perché evidenzia come la terra venga distrutta per produrre sempre di più. Il documentario è spietato soprattutto perché parla di noi consumatori e a noi consumatori, sbattendoci in faccia senza pietà il nostro comportamento perverso. Quello che ci spinge a voler pagare sempre meno i vestiti che acquistiamo per poterne comperare sempre di più, finendo per riempire i nostri armadi di cose che non indossiamo e buttiamo via senza pietà. 

Alla fine del documentario mi sono sentita una stronza. E una stupida. Non so se più stupida o più stronza, che vi devo dire. Perché secoli fa ho letto No Logo di Naomi Klein, ma dopo qualche tempo me ne sono bellamente scordata. Perché ero rimasta scioccata alla notizia dei mille morti di Rama Plaza, in Bangladesh, ma poi ho continuato a fare come se niente fosse. Perché sapevo e ho fatto finta di non vedere. Perché? Perché mi conveniva, ovviamente. 

Se aprite il mio armadio, più o meno la metà delle cose che vi troverete sono di catene low cost, H&M in testa. Perché? Perché H&M mi permette di acquistare più cose, allo stesso prezzo. E che sia chiaro, non è perché non posso permettermi di acquistare altro. Ho un budget piuttosto limitato per gli acquisti, ma mi permetterebbe comunque di comperare cose più costose: è solo che ciò vorrebbe dire comperarne di meno e con maggiore responsabilità. Addio acquisto d'impulso. 

Sabato pomeriggio, il giorno del mio compleanno, ho comperato un maglione, un cardigan e una giacca elegante - obiettivamente di buona fattura - spendendo 59 euro, sfido qualsiasi marchio a competere. M avevo veramente bisogno di quelle cose? Ovviamente no. 

Di quante cose, tra quelle che ho nell'armadio, ho veramente bisogno? Facciamo della metà? Dai, teniamoci alti. Del resto, io lavoro da casa, vivo in jeans e maglione e molte delle cose che acquisto le indosso pochissime volte per stagione. E allora perché le compro? Per gratificazione. Per divertimento. Perché le ho viste e le voglio anch'io. Perché si vive una volta sola, dai. Perché "già la vita fa schifo, se devo anche privarmi dei vestiti". Perché quando esco non posso mica mettermi sempre la stessa cosa, no? 

Ma vi giuro che ieri sera, dopo aver visto quel documentario ed essermi commossa, quando ho guardato nell'armadio e ho visto più volte la scritta made in Bangladesh, m'è venuta la nausea. Non mi ero mai sentita così prima e spero che questo mi aiuti a cambiare il mio comportamento. Faccio scelte consapevoli nell'alimentazione, nella cura di me stessa, perché cacchio non posso farlo anche nei vestiti? Sono una persona così debole? E no, eh. 

Basta, si cambia. E lo dico qui, ad alta voce, per prendere un impegno ancora più grande. Ecco cosa farò.

- darò via tutte le cose che tengo nell'armadio da secoli, senza più usarle. Questa tendenza all'accumulo l'ho presa da mia mamma, ma lei poi ricicla ogni cosa (giusto qualche giorno fa mi sono seduta su un cuscino rifasciato con la stoffa di una mia vecchia borsa), io invece mi limito a tenere le cose ad occupare spazio.

- comprerò meno e in maniera più consapevole. Cercherò di informarmi e renderò partecipi anche voi di questo mio percorso, se vi va. 

- smetterò di paragonare i prezzi di qualsiasi cosa a quelli di H&M (brutti stronzi, mi ci avete portato voi a 'sto modo di ragionare delle balle). Venerdì pomeriggio, cucendo con mia mamma, ho capito quanto sia faticoso: come posso ancora pensare che sia giusto pagare una camicetta o una borsa meno di 20 euro? 

- imparerò a cucire. Mi sembra la cosa più difficile del mondo, ma ci voglio provare. 

- infine, e qui viene il difficile, cambierò il mio modo di rapportarmi all'acquisto di vestiti. Basta seguire l'impulso, la voglia di farsi una coccola, il bisogno di avere una cosa tanto per averla. E qui, ragazzi, ce ne vuole eh. 

Mi piacerebbe anche scrivere che comprerò cose usate, peccato che tutti i vestiti vintage mi facciano assomigliare a mia nonna vestita male o, nella migliore delle ipotesi, a una che si è buttata nel cassonetto della Caritas e ha messo le prime cose che son venute fuori. Sarebbe figo farlo, ma che vi devo dire, il vintage non fa per me. Ahimè. 

E voi, che mi dite? In che maniera acquistate i vostri vestiti? Siete come me oppure fate acqusti più consapevoli? Se lo fate e avete consigli da darmi, fatemi sapere vi prego! 


Se volete saperne di più in proposito, ecco cos'ho trovato in giro.

Il documentario, vi prego guardatelo, è questo: The True Cost.

Gaia Segattini ha scritto due post illuminanti in proposito. 

Su You Tube trovate My Green Closet, un canale dedicato alla moda etica e consapevole.

Ho letto di una serie di video realizzati in Cambogia da alcuni blogger norvegesi, ma non ho ancora avuto tempo di vederli. Li trovate qui

Un post su marchi etici, che devo ancora spulciare per bene. 

lunedì 18 gennaio 2016

Vivian Maier. Una fotografa ritrovata.


Alla fine l'ho trovata, Vivian Maier. In una grigia giornata di pioggia milanese, sicuramente adatta alle sue fotografie. Ma alla fine, come spesso succede negli amori a distanza, vedersi non è stato esattamente come l'immaginare di farlo. La colpa non è stata di Vivian, ovviamente. E' solo che la mostra è organizzata in una serie di sale piuttosto piccole, nelle quali si era assiepata davvero troppa gente. Se a ciò si aggiunge il fatto che le luci si riflettevano nei vetri delle foto e cercare l'angolazione giusta per vedere una foto in mezzo alla gente non è il massimo, ecco l'incontro non è stato proprio come lo desideravo. 

Insomma, Vivian era lì e mi parlava ma io ero distratta. Distratta da quello che fotografava la moglie davanti a una delle fotografie, dicendole "un po' più a destra, un po' più a sinistra", da quella che si faceva i selfie, da un'altra che fotografava ogni singola immagine o da quello che, Rolleflex al collo, girava per la mostra parlando di Vivian come fosse suo fratello. Che io odi la folla ormai è chiaro, ma quel che più odio è chi fa qualcosa solo per testimoniare di averlo fatto. 

Ma vivo nel 2015, se dovessi evitare tutte le occasioni in cui le persone sono in un luogo solo per dire di esserci stati, beh, finirei sicuramente per stare chiusa in casa sul divano a guardare Pretty in pink per la centesima volta. Quindi ho scacciato l'insofferenza, recuperato le forze e mi son concentrata su quello che vedevo, cercando di tenere lontano il disturbo di fondo. E Vivian era sempre lì, paziente come sicuramente non sarebbe stata di persona, ad aspettare. 



Quello che mi aveva colpito di Vivian Maier, la prima volta in cui ne avevo sentito parlare, era la sua storia, ossia quella dell'anonima bambinaia che nella sua vita aveva scattato migliaia e migliaia di (meravigliose) foto, scoperte per caso qualche anno dopo la sua morte. Ma solo vedendo il documentario Finding Vivian Maier, ho capito quanto questa storia fosse preziosa, quanto ricchezza ci possa essere nella vita di persone normali e quanta meraviglia possa regalare la determinazione. 

La determinazione di cui parlo è quella di John Maalouf che, impegnato nella stesura di un libro di storia, acquista scatole di vecchi rullini a un'asta. Comincia a guardarli e a scansionarli e si rende conto di essere davanti a delle foto di grandissimo valore, realizzate da una sconosciuta Vivian Maier. Avendo acquistato, insieme alle foto, un'infinità di effetti personali della donna, comincia a ricostruirne la vita. Rintraccia le persone che erano state i suoi datori di lavoro, mette insieme i pezzi della sua vita, cercando di capire chi fosse l'autrice di tanta meraviglia

E la sua determinazione ci ha regalato migliaia di foto di grande bellezza, che mi lasciano però alcuni grandi quesiti. Perché Vivian Maier non ne hai mai stampata nemmeno una? Perché scattare migliaia, centinaia di migliaia di foto senza avere la curiosità di vederle per bene, senza la voglia di sceglierne alcune da conservare? C'era una forma di sottile follia nella sua tendenza all'accumulo compulsivo e alla documentazione ossessiva di ogni singolo attimo della sua vita?



Foto dopo foto, le domande continuavano a ronzarmi in testa. Se Vivian avesse mai avuto l'occasione di organizzare una sua mostra, quali scatti avrebbe scelto? Avremmo mai visto le stesse immagini? Chissà quali erano le sue preferite? Magari non avrà neppure visto alcuni dei negativi dei suoi scatti, persi nelle migliaia di cose che possedeva. 

E ancora: avrà mai frequentato una scuola di fotografia? Chissà. Perché certamente, se non lo ha fatto, le sue foto sono l'ennesima dimostrazione del fatto che il talento è davvero tutto, in fotografia e in mille altri campi. Perché, per quanto mi abbiano emozionato meno delle immagini di altri fotografi, le sue immagini lasciano a bocca aperta per la perfezione della composizione e per l'incredibile capacità di cogliere l'attimo. 

Alla fine, insieme all'ammirazione per tutto il suo immenso talento, m'è rimasto dentro un sentimento di profonda gratitudine per una persona come John Maloof, che si è appassionato a una storia, ci si è buttato a capofitto, ha speso soldi e tempo per inseguire un sogno, regalandoci tutta questa bellezza. Sono quelle storie che ti fanno fare pace con tutto il brutto che c'è nell'umanità. 

venerdì 15 gennaio 2016

Ho scritto anch'io un post su Bowie


Sì, ho scritto anch'io di David Bowie. Del resto, come potevo non farlo? Domani compio 43 anni, da qualche giorno lui è morto e si è portato via un pezzo della mia adolescenza. Sono venuti a mancare tanti cantanti, in questi anni, ma nessuna perdita mi ha colpita così tanto. Mi chiedevo perché, in questi giorni, e ho capito che è come se fosse il primo amico che se ne va. Quello della compagnia, magari un po' più grande di te, che improvvisamente viene a mancare e il tuo mondo perde un pezzo. Tu perdi un pezzo di te stessa. 

Quando è morto John Lennon ero troppo piccola per realizzare cosa fosse successo, pur rendendomi conto che era qualcosa di enorme. Quando è morto Freddie Mercury, l'ho semplicemente acquisito come un fatto della vita. Non sono mai stata una fan dei Queen, del resto. Quando è morta Amy Winehouse, ne sono rimasta colpita, ma l'ho conosciuta per troppo poco tempo per volerle bene veramente. E poi ero ce l'avevo con lei da morire, la rabbia ha superato il dolore. E' stato brutto quando è morto Lou Reed, ma per quanto molto amato, lui ha frequentato solo una piccola parte della mia vita. Ma con Bowie è diverso, dio mio, Bowie c'è sempre stato. 


La prima canzone che ho sentito di David Bowie è stata senza dubbio Absolute Beginners. Era il 1986, io avevo i jeans con i risvolti - esattmente come ora -  e non mi ero ancora ripresa dalla visione di Simon Le Bon a Sanremo con il piede rotto. Le mie giornate erano divise tra scuola, compiti e Deejay Television. Ed è stato lì che ho visto per la prima volta il video in cui Bowie, vestito di tutto punto, si aggira per una Londra in bianco e nero. Quel ritornello mi era rimasto in testa per giorni, ma non m'è venuta voglia di saperne di più. Ero una ragazzina, c'era ancora troppo Simon Le Bon nel mio cuore. 

Per un po' di anni, per me, Bowie è rimasto il Bowie di metà anni '80: un elegantissimo signore inglese, che sapeva portare capelli ossigenati con lo stile di pochi. E con una buona dose di figaggine, come dimostra il video di Let's Dance. Bowie per me era quello del duetto con Mick Jagger e della canzone con Pat Metheney. Una presenza costante, nelle mie giornate attaccata alla radio, ma non una passione bruciante. 


Ho capito che David Bowie era anche qualcosa di diverso quando ho visto Christiane F. e i ragazzi dello zoo di Berlino. Ma quel film mi aveva inquietata troppo. All'immagine pop di Bowie che avevo avuto fino a quel momento, se ne affiancava una sbrigativa di "musica da tossici" (ti chiedo perdono, David, ero giovane). Sono passati davvero tanti anni, ma ancora mi chiedo come abbia potuto non rimanere folgorata da Heroes, in quel film. 

Il momento di innamorarmi di Bowie è arrivato anni dopo, quando ormai ero all'università, e un'amica è arrivata con un sacchetto pieno di CD di Bowie dicendo: "mia cugina si trasferisce, dobbiamo assolutamente copiare questi CD prima che parta". Assolutamente, certo. Come se fosse una questione di vita o di morte, certo. Del resto, spesso la musica è questione di vita o di morte. Spesso la musica ti salva la vita, quasi sempre te la migliora. E aver copiato quei CD, senza fare altro per un'intera giornata, ha reso la mia indubbiamente più bella. E più ricca. 


Il primo disco che ho ascoltato è stato Ziggy Stardust che, ovviamente, rimane il mio preferito. Come descrivere quello che succede quando ascolti un disco che ti cambia la vita? Ti scatta qualcosa dentro, un senso di gratitudine, di appartenenza, la sensazione, l'improvvisa certezza che là fuori nel mondo ci sia qualcuno che ha capito perfettamente chi sei. Lo ha spiegato bene La Pina qualche giorno fa, parlando di Rock 'n' Roll Suicide: "quel modo di dire 'you are not alone' mi ha cambiato la vita". Basta una frase, un'accordo, un modo di dire una certa cosa. E' un'emozione fortissima, la sensazione più bella che ti dà la musica ed è per questo che la amo così tanto. Quindi David, grazie di avermi fatto sentire così. Grazie di esserci stato. E di esserci per sempre. 

mercoledì 13 gennaio 2016

Pain d'épices

Tra le varie cose che ho fatto durante le vacanze di Natale, oltre a guardare film facilmente dimenticabili, smaltire la pila di riviste accumulate accanto al divano e dormire come se non ci fosse un domani, ci sono stati sicuramente innumerevoli tentativi di realizzare il pain d'épices perfetto

Mi sono innamorata del pain d'épices piuttosto recentemente, ma è stata una passione folgorante. Mi piace quell'intenso sapore di spezie, che mi ricorda il pumpkin scone di Starbucks (eh, lo so, ognuno ha i riferimenti che si merita: avrei potuto parlarvi di una nonna francese, vacanze in Alsazia e pain d'épices mangiati guardando nevicare fuori, ma no, io sono molto pop e molto sincera). Mi piace il suo colore scuro, mi piacciono le fette rettangolari e regolari, mi piace il suo nome. 

Spesso mi innamoro del nome delle cose, prima ancora delle cose in sè. Potrebbe essere un chiaro segno di superficialità, oppure - diciamolo - una grande passione per le parole e il loro suono. Propenderei per la seconda che fa più figo. Comunque, in tutto questo straparlare a caso, veniamo alle ricette. 


Come vi ho già detto e ripetuto fino alla nausea e allo sfinimento, sto cercando di eliminare uova e latticini dai dolci che cucino a casa. Quindi ho sperimentato ricette vegane, cominciando dal giornale WeVeg, da cui non sono mai stata tradita (anzi, ve lo consiglio, se vi va di sperimentare in materia. La ricetta presa da WeVeg è la seguente:

Ingredienti

250 gr. farina integrale
125 gr. zucchero integrale di canna
200 ml. di latte vegetale
1/2 bustina di lievito per dolci
cannella, zenzero, noce moscata, chiodi di garofano in polvere q.b. 
1 pizzico di sale integrale

Mescolare tutti gli ingredienti secchi e quindi aggiungere il latte, fino ad ottenere un impasto cremoso. Versare il composto in uno stampo da plumcake rivestito di carta da forno e cuocere in forno caldo a 180° per 40 minuti. 

Il risultato è ottimo a livello di gusto, ma la consistenza non mi ha convinta completamente. Nel continuare a sperimentare, mi sono imbattuta in questa ricetta di 100% Végétal. L'ho provata, ma anche qui la consistenza non corrispondeva ai miei gusti, era leggermente troppo gommosa. Allora ho provato a rifare la ricetta, ho fatto qualche modifica e ho sostituito lo sciroppo d'agave con pari quantità di miele. Il risultato, nella mia modesta opinione, è perfetto. Eccovela qui. 

Ingredienti

180 gr. di farina 0
70 gr. di farina di semola 
65 gr. di zucchero di canna
1 cucchiaino da caffè del mix Quattro Spezie di Tutte Le Spezie del Mondo
1 cucchiaino da tè di cannella
1 bustina di lievito
200 ml. di latte vegetale
150 ml. di miele

Mescolare gli ingredienti secchi e quelli umidi a parte. Unire i due composti e versare il composto in uno stampo da plumcake rivestito di carta da forno e cuocere in forno caldo a 180° per 40 minuti. 

lunedì 11 gennaio 2016

I miei preferiti del 2015


Buongiorno, amici belli! Vorremmo mica lasciar passare gennaio senza l'occasione di stilare una lista dei preferiti dello scorso anno? Saremmo pazzi, pazzi furiosi. Mai perdere l'occasione di mettere in fila le cose belle, mai. Ecco quindi una serie di liste casuali, senza senso, un po' sciupone, per dirla alla Vero. Una serie di liste perfettamente inutili e quindi assolutamente preziose. 

I miei libri del 2015

Sono andata a recuperare la lista dei libri che ho letto quest'anno, compilata religiosamente su un freddo file di word, e ho realizzato di aver letto 30 libri. Non male, no? So che ci sono persone che leggono molto più di me, ma considero sia un buon traguardo. Tristemente, però, ho letto molti libri "carini", ma pochi di quelli che ti cambiano la vita. Peccato. Mi rifarò quest'anno (ho già cominciato alla grande). 

L'amica geniale Elena Ferrante
(una di quelle storie che ti prendono e non ti lasciano più)

In giardino non si è mai soli  Paolo Pejrone
(non c'è niente di più rilassante di leggere di giardinaggio)

Eleanor & Park Rainbow Rowell
(per chi è stato un'adolescente un po' sfigata come me)

La donna della domenica Fruttero e Lucentini
(un giallo, Torino e gli anni '60)

I miei dischi del 2015

Io amo la musica così tanto da non poter viverne senza, ma non sono un'esperta in materia. Per niente. Quindi niente giudizi di merito, niente recensioni, solo gli album che mi hanno emozionata di più quest'anno. 

Of Monsters and Men Beneath The Skin
(voci bellissime e voglia di andare in Islanda)

Florence and the Machine Ceremonials 
(è nato lentamente, ma ora è un grande amore)

Noel Gallagher Noel Gallagher's High Flying Birds
(ma se Noel da solo mi piacesse ancora più degli Oasis?)

I miei film del 2015 

Amo tantissimo vedere film, ma odio andare al cinema. Odio la scomodità di uscire al freddo, fare mezz'ora di macchina (vivo in provincia, never forget), finire seduta vicino a qualcuno che ha mangiato troppo aglio oppure fa cena direttamente al cinema con popcorn e caramelle gommose. Odio quelli che parlano al cinema. Odio quelli che si muovono troppo al cinema. Insomma, per questi motivi, sono indietro come pochi sulle uscite cinematografiche. Questi sono i film che mi hanno preso il cuore nel 2015, ma risalgono facilmente al 1990 o giù di lì.

Pride
(leggero senza essere stupido, commovente senza essere straziante, perfetto)

Il treno per il Darjeeling
(India, sorrisi e Adrien Brody)

Need For Speed
(una Mustang m'ha preso il cuore)

I miei documentari del 2015

Conoscete la mia dipendenza dai documentari, vero? Ecco qui i miei preferiti di quest'anno. 

What Happened Miss Simone?
(educativo e commovente)

Jiro Dreams Of Sushi
(il fascino di gesti perfetti)

Searching For Sugar Man
(una storia fantastica, di quelle che ti mettono in pace col mondo)

Amy
(troppo straziante, ma c'è Amy)

I miei belletti del 2015

Io mi trucco poco, ma c'è una beauty blogger nascosta dentro di me. Mi affascinano i tutorial di trucco, vorrei essere esperta di primer e correttori, sogno una beauty case pieno di rossetti, salvo poi essere troppo pigra anche solo per mettermi il mascara. Ma quest'anno ho comunque scoperto un po' di cose belle e mi andava di condividerle con voi. 

Dior Vernis 999 - Chanel Rouge Noir 
(un rosso perfetto e il mio smalto preferito di sempre)

Siero Kiehl's Midnight Recovery Concentrate
(m'ha fatto sparire una marea di brufoletti, bacio la confezione tutte le sere)

Balsamo Reve de Miel Nuxe
(labbra morbidissime, gusto buonissimo)

Quali sono i vostri preferiti? Dai ditemi! 

venerdì 8 gennaio 2016

Il nuovo anno e un sorriso


Buongiorno! Quanto tempo, come state? Avete passato delle buone feste di Natale? Spero tanto di sì. E spero che le feste vi abbiano dato una montagna di energia per affrontare l'anno nuovo. Io sono stata bene, ho festeggiato, mangiato tanto, dormito tanto, letto tantissimo, guardato un sacco di TV, ho camminato molto, pensato troppo, scritto quasi niente. 

Un guasto alla rete la sera del 24 dicembre mi ha obbligata a stare senza internet da PC e cellulare per quasi due settimane. Inizialmente, mi sono fatta prendere dal panico perché avevo progettato di lavorare sodo per recuperare vecchie cose lasciate indietro, poi ho realizzato che beh, insomma, il mondo non era in pericolo e avrei potuto tranquillamente prendermi qualche giorno di vacanza. Quindi mi sono goduta, io che ho sempre approfittato dei giorni di ferie per fuggire via, lunghissime e pigre giornate a casa, quanto di più terapeutico ci possa essere. 

In tutto questo, ogni giorno mi dicevo che avrei dovuto ricominciare a scrivere per il blog, ogni giorno cominciavo un post e lo cancellavo dopo le prime righe. L'unico che ho scritto, verso la fine dell'anno, era talmente deprimente che il giorno dopo l'ho cestinato senza pietà e con una buona dose di rabbia verso me stessa. 

Il fatto è che sì il 2015 è stato un anno durissimo e che il 2016 si prospetta essere ancora - se possibile - più complicato, ma nessuno mi dà il diritto di lamentarmi. Le cose che mi sono successe e che dovrò affrontare in futuro sono state affrontate da milioni di persone prima di me e continueranno ad affigggerne altre, io non sono diversa, né speciale. Non posso pretendere una vita perfetta, libera dal dolore e dalla difficoltà. Sarebbe idiota e profondamente immaturo anche solo pensarlo. 

E allora ho deciso di fare come suggerisce Monsieur Ibrahim a Moise in Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano, quando vedendolo sempre con il broncio gli gira la bocca all'insù in un sorriso, dicendogli che sorridere rende felici. Del resto, come riflettevo con mio marito nella nostra tradizionale passeggiata al mare d'inizio anno, ogni cosa, ogni più piccola cosa dipende dalla prospettiva da cui la guardi e dalla maniera in cui l'affronti. E io ho deciso di adottare il sorriso. 

In questi giorni, ho letto mille post su altrettanti blog, ho letto buoni propositi, intenti, parole dell'anno, riflessioni sull'anno passato, progetti per l'anno che viene, oroscopi, guide per il benessere, e mille altre cose che ora non mi vengono in mente. Ci ho provato anch'io a fare un post del genere, ma non m'è venuto fuori niente. Ma è normale, in fondo io ho deciso che il mio unico proposito sarà saper fare con me stessa quel gesto che Monseur Ibrahim fa a Moise e girare gli angoli della bocca all'insù e sorridere

Lo facciamo insieme?