lunedì 29 aprile 2013

Amanda Palmer e l'arte di chiedere

Venerdì sera ero sola a casa e, come spesso mi capita quando ho portatile e divano a disposizione, mi sono guardata un po' di TED Talks. Oramai sapete che ho una marea di passioni e di fissazioni, ma non vi ho ancora raccontato della mia strana mania per i TED Talks, vero? Per chi non lo sapesse, il TED è una conferenza che si tiene ogni anno in California e, recentemente, anche in altre città del mondo. Vi partecipano speaker più o meno famosi e trattano gli argomenti più disparati, parlando di ambiente, tecnologia, società, filosofia, letteratura e altro. La maggior parte degli speaker sono americani e quindi i loro discorsi sono pieni di entusiasmo, motivazione, pathos, intensità, come solo loro sanno fare. Lo scorso venerdì sono stata profondamente colpita dal discorso di Amanda Palmer, che potete trovare qui.

Amanda Palmer è una performer e musicista punk  americana, fondatrice dei Dresden Dolls e ora parte della band Amanda Palmer and the Grand Theft Orchestra. Fino all'altra sera, non sapevo minimamente chi fosse e ho scelto il suo discorso perché incuriosita dal titolo, L'arte di chiedere. Io ho un sacco di problemi a chiedere e mi sono detta, chissà che questo discorso non mi possa insegnare qualcosa? Lei è una tipa davvero strana, estrema, spinta fino all'eccesso (si spoglia nuda e si fa disegnare dai suoi fan), troppo fuori dagli schemi perché io possa davvero ammirarla (quando le persone sono così trasgressive non so mai dove si fermi il limite tra il ci è e il ci fa, è la mia anima cinica che viene fuori...e poi non si depila le ascelle e sono scelte che io non riesco a capire, ma vabbè), ma il suo discorso mi ha colpita.


Amanda racconta di come inizialmente abbia finanziato la propria attività di musicista facendo la statua vivente per strada e come abbia imparato da lì l'arte di chiedere e di stabilire un contatto con i donatori. Racconta di come semplicemente chiedendo si possano ottenere le cose più disparate, da un divano se si ha bisogno di un posto per la notte, a un pianoforte per le prove a qualsiasi altra cosa di cui si abbia bisogno, tutto ciò con la gioia da parte delle persone che donano. L'importanza di chiedere. La difficoltà di chiedere. Infatti, come va avanti a raccontare, chiedere è faticoso, ci si vergogna, ci si sente dei mendicanti, ci si chiede se sia giusto. Proprio come me, ogni volta che devo chiedere qualcosa (mio marito lo sa fin troppo bene), che siano le informazioni più stupide o cose ben più serie. Questo discorso mi ha aiutata a riflettere su questo aspetto di me stessa, non che io creda di poter cambiare, ma mi ha dato spunti interessanti su cui lavorare. Del resto, ho dei sogni che intendo realizzare e temo non sia possibile senza chiedere e quindi devo imparare a farlo.


Questo discorso, che credevo potesse essere unicamente una riflessione personale, mi ha fatto pensare a cose più generali. Amanda racconta che, dopo un disco giudicato un fallimento dalla sua major, decide di condividere la sua musica e chiedere un aiuto tramite Kickstarter, ottenendo più di un milione di dollari. Questo mi ha portato a ripensare a un lungo discorso fatto con amici sulla musica, il diritto di scaricare brani da internet, il futuro dell'industria discografica (sì, facciamo discorsi di questo genere e ci accaloriamo anche) e mi sono chiesta: "beh, ma questa non potrebbe essere una grandissima soluzione?". Del resto, è la stessa Amanda che conclude il suo discorso dicendo che il problema da porsi non è come far pagare la musica alla gente, ma come consentire alla gente di pagare per la musica. E quindi non sarebbe davvero una soluzione quella di condividere la musica e chiedere alla gente di contribuire? Certo, questo cambierebbe radicalmente il modo di essere musicisti, indubbiamente otterrebbero migliori risultati coloro in grado di instaurare un rapporto speciale con il proprio pubblico, condividendo se stessi e la propria arte, perché certo si è più spinti a donare a persone di cui si ha fiducia, di cui si condivide una visione, di cui si apprezza il lavoro e lo sforzo. Quindi certo, sarebbe difficile, ma questo eliminerebbe anche un sacco di spazzatura dal mondo della musica e questo sarebbe già di per sé un gran risultato. E lo stesso concetto potrebbe essere applicato anche a molti altri campi della cultura e della società. Purtroppo, non sono una scema, mi rendo perfettamente conto che tale visione utopistica non si realizzerà mai, ma c'è da dire che il mondo sta cambiando a una velocità pazzesca e chi ci dice che invece un nuovo modo di vedere le cose, alla fine, non paghi?

venerdì 26 aprile 2013

Wishlist del venerdì

Nel guardare le chiavi di ricerca del blog, qualche giorno fa, ho notato con immenso piacere la chiave "acasadicindy + wishlist"...questo appuntamento sta diventando importante, eh? Non potrei esserne più felice! Perché certo parlare di mostre e libri è divertente, ma vuoi mettere lo shopping????
1. Giusto per non smentirmi, io che amo i libri più delle scarpe e dei vestiti, che ho la libreria piena a metà di libri che devo ancora leggere, che vivo nell'ansia di non riuscire a leggere tutti i libri che vorrei...inizio questa wishlist con un libro. Ma non potevo davvero resistere. Una mia cara amica messicana l'ha messo su Pinterest e io sono impazzita: è uscito un nuovo libro su Frida Kahlo e io non l'ho ancora letto? Non esiste proprio. Devo rimediare IMMEDIATAMENTE! E quindi, eccolo qui, The secret book of Frida Kahlo, una biografia che trae spunto da un quaderno di appunti di Frida ritrovato recentemente nella sua casa di Coyoacan. E' già nel mio carrello di Amazon, basta solo un click! (Poi, così per dire, vogliamo parlare della copertina? M-E-R-A-V-IG-L-I-O-S-A)
2. A seguire, quasi in armonia con la copertina del libro su Frida, una serie di foto (ve lo confesso, sogno un giorno di avere una stanza tutta mia da adibire a studio e poterne ricoprire letteralmente le pareti delle foto dei fotografi che amo) di Philippa Stanton, una meravigliosa artista inglese. Oltre ai dipinti (se vi interessa, vi consiglio di dare un'occhiata a quelli dedicati a voci famose), Philippa realizza still life (oltre a creare lampade utilizzando vecchie carte geografiche...a proposito della mia invidia per le persone così creative) posizionando oggetti su un tavolo e fotografandoli dall'alto, dando vita a dei veri e propri quadri. Solitamente usa fiori, cibo, vecchie cose, libri, cartoline e li dispone apparentemente a caso su un vecchio tavolo vintage: no, ditemi...potevo non amarla? Eccovele qui di seguito e qui potete trovare anche il suo profilo su Instagram. Magico, ovviamente.




 3. E per chiudere una cosa che risiede nella mia wishlist su Pinterest (sì, ne ho una anche lì...sono malata e ne sono consapevole, ma non ho nessuna intenzione di curarmi) da più di un anno. Si tratta di una gonna, una delle più belle gonne che abbia mai visto. Del resto, non poteva non essere bella: l'ha creata quel mito di Lotta Jansdotter, una designer svedese da urlo. Temo rimarrà per sempre nella wishlist, perché non è in vendita, e io non sarei mai in grado di realizzarla. Ma ogni tanto me la guardo e mi mette di buonumore. Lo so, sono una pazza, ma sia chiaro che me ne rendo conto.

mercoledì 24 aprile 2013

15/52 e una giornata con Zelda.


Ieri ho passato la giornata con Camilla di Zelda was a writer ed è stato meraviglioso (peraltro, non avevo nessun dubbio in proposito). Come avevo già scritto qui, amo Internet per le sue infinite possibilità, ma soprattutto per l'opportunità di entrare in contatto con persone che condividono con me scelte, interessi, sensibilità e passioni. Ovviamente, la cosa più bella è poi trasferire questi contatti virtuali nella vita reale. Parlarsi, ridere, riconoscersi, trovarsi, entusiasmarsi. Quindi grazie. Grazie a internet, ai social network, a questo blog e ai mille altri che seguo e, soprattutto, grazie alle persone che animano questi strumenti virtuali. E grazie a Camilla, ovviamente. Per avermi chiesto di scrivere per Zelda e per mille altre cose, lei neppure immagina quante! Poi ieri è successa una cosa bellissima legata a questo blog e quindi grazie anche per l'energia positiva ha messo in moto.
(Ovviamente, Camilla parla di tutto questo molto meglio di me qui)

lunedì 22 aprile 2013

Robert Capa. Retrospettiva. Torino

La primavera del 2013 verrà ricordata come una delle più piovose e, nella mia piccola storia personale, come quella in cui ho visto il maggior numero di mostre in assoluto. Mai viste così tante mostre in così poco tempo, una benedizione. Quello che spesso ho considerato un sogno, adesso si è realizzato e ringrazio il tempo a mia disposizione (e i vari enti che sembrano essersi messi d'accordo a organizzare tutte mostre dei miei fotografi preferiti). Peraltro, Robert Capa non è uno dei miei fotografi preferiti, ma perché perdersi una sua mostra? Ero a Torino, passavo di lì, avevo un lungo pomeriggio davanti, perché non farlo?

Robert Capa non è uno dei miei fotografi preferiti perché non amo molto la fotografia di reportage, soprattutto quella di reportage di guerra. Ma ci tenevo comunque a vedere la sua mostra, perché c'è sempre da imparare. E sono contenta di averlo fatto, anche se non la ricorderò sicuramente come la mostra che ho amato di più. Per quanto ci si debba obbligatoriamente togliere il cappello davanti alla sua grandezza, Robert Capa non mi ha emozionata. Per qualche strano motivo che non vi so spiegare, le foto di guerra mi lasciano indifferente. Riconosco l'immenso sforzo e il coraggio di esserci stati, in momenti veramente critici, il grande pregio di aver testimoniato la storia, ma ho guardato le sue foto con freddezza, senza partecipazione. Temo sia colpa mia. Mi ha colpito però quello che stava dietro a certe foto, appreso grazie all'audioguida. Le foto dello sbarco in Normandia andate perse per colpa di un tecnico di Life, la rivista che pubblica quelle rimaste, irrimediabilmente mosse, dandone la colpa all'emozione del fotografo. Le sequenza fotografica di Trotsky durante un comizio, ottenuta grazie ad una piccola Leica nascosta in tasca, mentre a tutti gli altri fotografi con grandi attrezzature era stato impedito l'ingresso. Oppure la storia del contadino siciliano che indica al soldato americano la direzione presa dai tedeschi e per questo poi fucilato.



Ma c'è una sezione della mostra che mi ha mandata in visibilio, quella dedicata agli amici di Robert Capa. Il fotografo, infatti, conosceva praticamente tutte le personalità più importanti del tempo ed era amico intimo di Ernest Hemingway, Truman Capote, John Steinbeck, Pablo Picasso e direi di chiunque altro. I ritratti di questi mostri sacri fanno parte dell'ultima sezione della mostra, dove spicca una meravigliosa foto del collo di Ingrid Bergman e dove, sempre grazie all'audioguida, vengo a sapere questa meravigliosa storia: l'attrice aveva una relazione con il fotografo, che però non la voleva sposare, e da ciò Hitchcock ha tratto spunto per Una finestra sul cortile, dove si narra la vicenda di un fotoreporter perseguitato dalla fidanzata, che insiste perché la sposi. Abbiate pazienza, ma a me questi aneddoti fanno impazzire! Quindi quest'ultima parte della mostra è stata un grandissimo regalo e una bella sorpresa per me, che ero andata a vedere Robert Capa con puro intento didattico. Ah, per dire, la mostra è ospitata a Palazzo Reale, che da solo merita il viaggio.




venerdì 19 aprile 2013

Wishlist del venerdì

Questa settimana è scoppiata finalmente l'estate. Presto saremo costretti a risvegliarci dal sogno, come spesso succede, e per questo ho cercato di godermela tutta. Pranzi e cene in giardino, passeggiate serali con il cane, gelati e mille progetti per l'unica stagione che ha davvero senso di esistere. E quindi, una wishlist super estiva!

1. Cominciamo con un vestito. Sapete che non posso resistere, vero? E questo è davvero da FAVOLA, mette una voglia di passeggiate al sole e aperitivi in riva al mare...L'ho scoperto grazie a quel pozzo delle meraviglie che è Etsy ed è realizzato da un gruppo di stilisti moscoviti chiamati Mrs. Pomeranz. Come sempre, non è per le mie finanze, ma la wishlist è fatta per sognare, no?

 

2. A seguire, una borsa. Perché non vi ho ancora raccontato della mia passione per le borse, né? Ne comprerei a vagonate e ho un debole per quelle in tela, tipo borsa della spesa. Come questa qui, che è prodotta da quei geni di Turntable Kitchen, un bellissimo sito che unisce cibo e musica e dal quale è possibile ordinare ogni mese un Pairings Box, ossia un pacchettino contenente un vinile, una mixtape, delle ricette e gli ingredienti necessari a realizzarle, il tutto con un preciso filo conduttore. Io impazzisco per cose così, colpa dell'hipster che è in me e che non riesco a sopire.


3. E per finire...un concerto, del gruppo che più mi ha emozionato negli ultimi mesi. Purtroppo, non verranno in tour in Italia e quindi si tratterebbe di un concerto (estivo) all'estero...un sogno, immenso. Ma chissà.

giovedì 18 aprile 2013

14/52 e Miss Fletcher


Questa foto è dedicata a Miss Fletcher e ai palazzi della sua Genova, che mi sta facendo scoprire poco a poco, grazie al suo preziosissimo blog. Miss Fletcher, che ha "adottato" il mio blog, che mi fa un sacco di pubblicità su Twitter, che mi lascia sempre commenti deliziosi e che mi chiede addirittura scusa se arriva a commentare i miei post in ritardo. Miss Fletcher, che questa settimana ho finalmente conosciuto di persona e con cui ho passato alcune piacevolissime ore. Quindi, grazie Miss, è stato davvero bello e spero sia l'inizio di un sacco di avventure in giro per la Liguria! 

mercoledì 17 aprile 2013

Il più bel giorno del mese: sono su Zelda!


Oggi torno su Zelda, per raccontare la penultima tappa del favoloso viaggio americano fatto lo scorso anno: Palm Springs. Il posto più caldo che abbia mai visitato, l'hotel più bello dove abbia mai soggiornato.

lunedì 15 aprile 2013

A freewheelin' time - Suze Rotolo

 
Come ho già scritto in passato, a volte il modo in cui un libro arriva a noi è importante quanto il libro stesso. Ciò vale sicuramente anche per questo libro. Tempo fa ho scoperto un sito che vende bellissime fotografie, tra cui alcune di musicisti famosi. Nel guardare e riguardare tale e tanta meraviglia (con un po' di bava alla bocca, lo ammetto), mi sono innamorata di due foto che ritraggono Bob Dylan con Suze Rotolo, una delle sue prime fidanzate. Ne volevo scrivere sul blog, ma visto che il sito non mi lasciava salvare le foto, ho cominciato a cercare su Google delle immagini che potessi utilizzare nel mio post. Nel cercare le foto, come sempre succede nel magico mondo di Internet (regno della serendipità), ho scoperto che Suze Rotolo ha scritto un libro sulla sua storia d'amore con Bob...potevo non comperarlo? Beh, in effetti potevo, visto che Bob Dylan non mi interessa molto. La sua musica, esclusi alcuni classici assolutamente imprescindibili (a parte Knockin' on Heaven's Door, che ho sentito troppe volte nei karaoke degli anni '90 e che ancora non riesco ad ascoltare senza uno storcimento di budella), non mi ha mai troppo appassionata e lui non mi sta neanche troppo simpatico. Ma Suze Rotolo, in quelle foto, ha un'aria ingenua, svagata e innamorata e mi ha incuriosita. Poi il sottotitolo del libro è A Memoir of Greenwich Village in the Sixties: New York? Sixties? Non potevo non leggerlo...
 
 

Nel leggere questo libro mi sono letteralmente innamorata di Suze, anzi della Suze che ha conosciuto Dylan a vent'anni. Suze, con una storia familiare tutta speciale: figlia di comunisti americani di origine italiana, cresciuta nel Queens, in una casa piena di libri e di discorsi intellettuali. Suze, considerata un outsider dai coetanei di periferia, perché così diversa e lontana dal conformismo americano degli anni '50. Suze, ancora, rimasta orfana da piccola e in balia di una mamma con seri problemi di alcolismo, che trova l'unico momento di vero svago nella domenica passata al Greenwich Village, in Washington Square Park, ad ascoltare musica folk, sentendosi finalmente parte di una comunità di simili. In questo ambiente, ad una festa,  Suze incontra Bob, all'epoca ancora un musicista sconosciuto che suona nei locali per pochi soldi, e nasce la storia d'amore tra il poeta e la ragazza di periferia, che però non sente la propria inferiorità perché "lui sarà anche un talento, ma io sono di New York e lui del Midwest e ha tanto da imparare". Infatti, sarà proprio Suze ad aprirgli gli occhi sulla politica e sulle istanze del movimento civile, che Bob all'epoca ancora non conosceva.
 
 
 
Ho amato molto questo libro. L'ho amato perché è un libro che racconta soprattutto l'adolescenza dell'autrice e la storia d'amore di due ragazzi appena ventenni, che stanno scoprendo la vita in un momento di incredibile fermento artistico e culturale. Una storia d'amore come ce ne sono mille, se non fosse che il ragazzo sta diventando Bob Dylan. Ho amato questo libro perché questa vicenda straordinaria è raccontata con grande semplicità, senza nessuna presunzione. E dire che si parla di una ragazza diciassettenne che conosce tutti i grandi musicisti dell'epoca, che vede muovere i primi passi a Bill Cosby e a Woody Allen, che tengono spettacolini di cabaret nei locali del Village, e che ha ispirato canzoni come Tambourine Man, scritta da Bob durante una notte in giro per le strade dopo una lite. Per dire, io al suo posto me la sarei tirata un pò. E invece no. Lei non fa altro che raccontare di loro due: due ragazzi, che si amano tantissimo e crescono insieme, finendo con l'aver bisogno di continuare a crescere l'uno lontano dall'altra, per trovare se stessi e diventare adulti, come spesso succede in tante storie d'amore. 
 
 
Poi c'è New York. Il Village, così diverso da com'è ora...si racconta di allevamenti di polli all'aperto, nelle stesse zone dove adesso ci sono negozi di super lusso e ristoranti alla moda. Bleecker Street, dove oggi Magnolia Bakery fa compagnia alle boutique di Marc Jacobs, era una via di locali di musica jazz e piccoli pub scalcinati. Gli abitanti facevano musica in strada, fino alle prime ore dell'alba, e c'era un clima di grande rilassatezza, come in un piccolo paese. Questa immagine così romantica della città ha aggiunto ancora più fascino a un libro già di per sè davvero delizioso. Suze Rotolo ha aperto una finestra su un periodo storico magico e una città che riempie i sogni di tanti (i miei sicuramente) ed è come se fossi stata, almeno per po', lì insieme a lei. Quindi, grazie Suze, per una lettura che mi ha fatto emozionare, scoprire qualcosa di nuovo e sognare. Non posso chiedere davvero di più!

venerdì 12 aprile 2013

Wishlist del venerdì

Eccomi qui, ecco la wishlist del venerdì. In questa primavera strana, la wishlist della settimana è tutta proiettata verso l'estate. Ho bisogno di luce, caldo, allegria e progetti.
1. La cosa che mi ha FOLGORATA questa settimana è un piccolo festival letterario, di cui sono venuta a conoscenza grazie alla mia radio preferita. Si tratta di un festival che si tiene in Sardegna, vicino a Sassari, a fine luglio, a partire dal tramonto. No, dico, Sardegna, luglio, tramonto...non vi viene voglia di prenotare già un volo, così, sulla fiducia? A me, sì (ma non dovevo neppure dirlo, vero?). Comunque, ogni sera, per quattro giorni, ci si ritrova all'ora dell'aperitivo e si ascoltano letture, conversazioni, incontri, per finire con un dj-set o un concerto sulla spiaggia. Secondo me, non c'è altro da dire: bisogna andare. Il festival in questione si chiama Festival dell'Argentiera e io ci sto facendo un pensierino. Seriamente, stavolta.
2. Questa storia del festival mi ha messo una voglia di andare che non ne avete idea. Partire, partire, partire. Questa voglia che alberga sopita in me e improvvisamente salta fuori smaniosa. Andare, andare, andare. E quindi, volete sapere cosa c'è al primo posto della wishlist della vita, mia e di mio marito, da sempre, almeno da quando ci siamo conosciuti? Questo furgone. Uno dei nostri più grandi sogni, che finora non siamo riusciti a realizzare ('sti furgoncini vecchi costano più che un auto nuova), ma che non abbandoniamo. E ogni primavera, puntualmente, torna la voglia di ripulire il furgone, fare la spesa, caricare il cane e partire. Per adesso nei sogni, in futuro chissà.

 
(foto Pinterest via Sfgirlbybay) 

3. E poi una cosa che non mi vedrete mai addosso (beh, mai dire mai), ma che quando l'ho vista mi ha tolto il fiato. Perché anche se uno ha un certo stile, non è detto che non possa essere conquistato da qualcosa di così diverso dal proprio. A me è successo con questi leggings, di un piccolo marchio torinese, chiamato Rosaspina. Del resto, ai festival col furgone Volkswagen posso mica andare con jeans e ballerine, dai.




giovedì 11 aprile 2013

Un plumcake che finge d'essere un pain d'epices

Figo il titolo di questo post, eh? Tutto per nascondere un'altra cialtronata in cucina, direte. E invece no, stavolta no. Basta sminuirmi e buttarmi giù, basta scherzare per nascondere l'inesperienza. Basta, perché questa volta ho fatto sul serio, questa volta ho agito come una vera esperta in cucina (ci credete tutti, vero?).
Insomma, la storia è che, qualche giorno fa, rientrata infreddolita dalla passeggiata con il cane, sotto una pioggerellina scozzese, mi è presa una voglia matta di pain d'epices. Qui si potrebbe aprire tutto un capitolo su come il meteo e la località influenzino le nostre scelte culinarie, o forse ancor meglio le nostre voglie, ma non voglio tediarvi. Dicevamo che m'era presa una gran voglia di pain d'epices. Che fare? Lo cuciniamo, così arriva pronto pronto all'ora del tè. Bene, la ricetta? Internet, of course (qui si dovrebbe anche disquisire sul fatto che ho un ripiano intero della libreria occupato da libri di cucina e poi non faccio altro che affidarmi alla rete, ma vabbè...ognuno ha le proprie debolezze e io ne ho una collezione intera). Come sempre, guardo cosa dice il Cavoletto, ma la sua ricetta del pain d'epices prevede 500 gr. di miele e io in casa ho solo il miele tanto buono che ho comperato alla bottega equosolidale, e se poi la ricetta mi viene male e lo spreco? Insomma, cerco un valido sostituto, ma ovviamente tutte le ricette prevedono un bel po' di miele (ma che strano, toh) e allora decido che insomma, beh, posso anche fare un plumcake, lo facciamo un po' speziato, ci mettiamo un pochino di miele e insomma...qualcosa che ce lo ricordi, 'sto benedetto pain d'epices, riusciremo anche a produrlo, no? Infatti. Prendendo spunto dalla mia guru (stavolta cartacea) dei plumcake, ho cucinato questo e ne vado molto fiera!
 
 
 
Plumcake speziato con uvetta e fichi
 
150 gr. di farina integrale
100 gr. di farina 00
30 gr. di zucchero
50 gr. di burro
5 cucchiai di miele
100 ml. di latte
1 manciata di uvetta
4 fichi secchi
1 cucchiaino di cannella
1 cucchiaino di zenzero
1/2 cucchiaino di noce moscata grattugiata
qualche chiodo di garofano (tritato o sminuzzato)
1/2 bustina di lievito
un pizzico di sale
 
Ammollare in acqua tiepida (oppure nel liquore, se preferite) l'uvetta e i fichi secchi. Quindi sbattere le uova con lo zucchero, finché non si otterrà un composto bianco e spumoso (io di solito mi stufo prima, ma voi fatelo). Quindi aggiungere il miele, il latte, il sale e il burro fuso e mescolare bene. Aggiungere poi le due farine (poco per volta), continuare a mescolare e quindi aggiungere l'uvetta e i fichi tagliati a pezzettini. Per ultimo, aggiungere il lievito e mescolare ancora un pochino. Quindi versare in uno stampo da plumcake imburrato e rivestito di carta da forno e cuocere in forno caldo a 180° per 40 minuti.

mercoledì 10 aprile 2013

13/52


Eccomi qui, affaticata e provata da questo progetto (ditemi pure di andare a lavorare, me lo merito). La ricerca di una foto a settimana mi sta sfiancando (ripetete pure quanto detto sopra). Comunque, alla fine una foto l'ho pure rimediata...e vuole essere un omaggio a Torino, che questa primavera mi sta facendo una gran compagnia, regalandomi soprese, scoperte e nuove conoscenze. Quindi viva Torino e perdonate la foto, sono in un periodo di difficoltà...e non dite che non ve l'ho detto.

lunedì 8 aprile 2013

Fosco Maraini. Il miramondo.


Ci tenevo tantissimo a vedere le foto di Fosco Maraini, talmente tanto da sfidare la febbre e, soprattutto, la folla del sabato pomeriggio, proprio nell'ultima giornata di apertura della mostra. Chi mi legge da tempo sa che cerco sempre il modo di vedere le mostre il più possibile da sola, perché la gente mi distrae. Non ci posso fare nulla, chiamatemi snob, anziana, rompipalle, ma io la gente, tanta gente insieme, proprio non la sopporto. Non riesco a concentrarmi se accanto a me ci sono due sciure che guardano le foto pensando che si tratti di un altro fotografo. Non me la godo la mostra se mi segue un signore che legge a voce alta la didascalia sotto ogni opera. Perdo l'attenzione se c'è una mamma che spiega ad alta voce ogni singola foto alla figlia, alla quale temo non freghi nulla. Sono una rompipalle, l'ho detto. Ho anche praticamente smesso di andare al cinema per lo stesso motivo. Lo so, non sono capace a godermi la vita, ditemelo pure. Così è, prendere o lasciare. Sarà che alcune cose non le faccio tanto per fare, voglio farle per bene. Del resto, mica è obbligatorio vedere una mostra, ci sono così tante altre cose da fare in un sabato pomeriggio di sole: andare al mare, prendersi un gelato, mangiare  un pezzo di focaccia, fare shopping. Ma vabbè, chiarito che sono una noiosa, torniamo a noi. Date tali premesse, devo proprio voler un gran bene a Fosco Maraini se mi sono avventurata a Genova già sapendo cosa mi aspettava. Ma fortunatamente anche il signor Fosco vuole un gran bene a me, perché la mostra me l'ha fatta godere lo stesso, grazie alle sue meravigliose foto. 



Amo Fosco Maraini da tanti anni, folgorata dalla lettura del suo libro "Case, amori, universi". Lo amo incondizionatamente, come amo tutti i grandi viaggiatori. Come amo Tiziano Terzani, Bruce Chatwin, Bill Bryson. Chi viaggia, con curiosità e mente aperta, per me ha sempre ragione. Se poi si tratta di un viaggiatore degli anni '40/'50, che parte dall'Italia per avventurarsi in luoghi allora remoti come il Tibet, il Giappone e la Corea, allora proprio mi conquista. Ben più facile viaggiare per noi oggi, chi lo faceva sessant'anni fa doveva per forza farlo in maniera avventurosa e sicuramente spartana. E la rinuncia alla sicurezza e ai comfort in nome del bisogno di conoscenza suscita la mia profonda e totale ammirazione. Sempre.  Del resto, Fosco aveva talmente tanta voglia di scoprire il mondo da imbarcarsi, ancora liceale, sulla nave Vespucci fingendosi insegnante d'inglese per andare a vedere i porti del Mediterraneo. La stessa smania di vedere il mondo che lo porterà a compiere due spedizioni alla scoperta del Tibet, a vivere alcuni anni in Giappone, a visitare - tra gli altri - il Pakistan, l'India, il Nepal, la Cambogia e a viaggiare tantissimo anche in Italia, tra il nord delle amate Dolomiti, dove si dedicava all'alpinismo, e il sud, aspro e selvaggio. Tutto questo fotografato con una maestria notevole, che combina tecnica e intuizione artistica. Come si fa a non amare un uomo così?



La mostra, come dicevo, è bellissima, piena di foto meravigliose. Ma c'è qualcosa in più delle semplici immagini ed è proprio questo che mi ha entusiasmata. Vista la biografia di Maraini, partito dalla Toscana alla volta del mondo, mi aspettavo semplicemente una serie di foto di viaggio. Tante e bellissime foto di paesi lontani. Mai mi sarei aspettata di trovare così tante foto dell'Italia. E mai avrei pensato di trovare parallelismi così stretti tra il nostro paese e luoghi così remoti. Invece, c'è un treno che corre lungo i binari in un deserto delle Murge che richiama l'altopiano del Tibet, i visi dei bambini che vivono nei sassi di Matera hanno la stessa espressione di quelli che chiamano casa una tenda ai piedi delle montagne tibetane, le grandi cerimonie orientali poco differiscono dalle fastose processioni del sud del nostro paese. Inizialmente, nel guardare la mostra, pensavo che tali parallelismi saltassero fuori quasi per caso, ma ho poi capito che invece erano frutto di uno studio preciso, confermato dal vedere l'una accanto all'altra la foto di uno sciamano giapponese e quella di uno spazzacamino della Val Gardena, l'operaio su un traliccio a Firenze e il guerriero in equilibrio su una strana scala nel nulla, il raggio di luce che colpisce i fedeli in una chiesa italiana e i devoti in un tempio tibetano, per non parlare dell'intera sala dedicata a un interessantissimo confronto tra Firenze, città della pietra e dell'uomo, e Kyoto, città del legno e della natura. E quindi io, che pensavo di volare lontano, di sognare paesi sconosciuti, sono stata riportata con prepotenza al mio, di paese. Io, che tendo sempre a guardare al di là dei nostri confini, vi vengo risospinta dentro con forza da chi pensavo mi portasse ancora più lontana. E quindi grazie Fosco Maraini, la tua grandezza sta nell'aver guardato lontano e vicino con gli stessi occhi, la stessa curiosità. Quella che dovrebbe avere ognuno di noi. 

venerdì 5 aprile 2013

Wishlist del venerdì

E siamo arrivati di nuovo alla wishlist, cavolo. Su questo blog non si parla d'altro che di wishlist, sarà meglio rimediare! Prometto che, dalla prossima settimana, infarcirò questo piccolo spazio di un bel po' di altra nuova fuffa, quella che alberga solitamente a casa mia (o meglio, nella mia testa, visto che mio marito non ha colpa della mia follia). Ora però, in attesa dei mirabolanti argomenti che verranno sviscerati prossimamente, dedichiamoci alla vecchia, cara wishlist. Che lo so che vi piace, su!

1. Confesso la mia ignoranza (che non si dica che non sono sincera, né) e ammetto di essere venuta a conoscenza di questo magistrale fotografo grazie a un suggerimento su Facebook. Sì, quei messaggini sulla destra dello schermo che suggeriscono di mettere like ai prodotti più assurdi, beh, lì in mezzo c'era il link alla pagina di Leo Fuchs, un grandissimo fotografo di scena degli anni '50 e '60, che ha  ritratto i  più famosi divi di Hollywood, gente del calibro di Audrey Hepburn, Paul Newman, Marlon Brando, Steve McQueen, Doris Day, tutti insomma. Alcune sue foto sono in vendita sul questo sito e, per quanto costino una cifra notevole, giuro che sono nella mia wishlist. Sì, io spenderei 475 dollari per una foto di Audrey Hepburn. Sì, sono quel genere di persona. Se solo non fossi una squattrinata cronica (o forse è quello il motivo?).
2. Visto che si parla di Hollywood, anni '50, celebrità, vintage, tutte cose che mi fanno letteralmente impazzire (ormai dovreste conoscermi), vi devo assolutamente dire che nella mia wishlist di tutti i tempi c'è un museo, che sogno da tempo e che ho mancato di un soffio, lo scorso anno. Si tratta del Neon Museum, a Las Vegas, dove vengono restaurate e custodite tutte le vecchie insegne degli hotel della città, quando vengono demoliti (come spesso succede da quelle parti). Un luogo magico, per fotografie da paura! Purtroppo, quando ci siamo stati era ancora in fase di ristrutturazione e ha riaperto poco tempo dopo la nostra visita. Mi è dispiaciuto da morire, ma la considero una scusa valida per tornare là...


3. E poi una bravissima artista che ho scoperto da qualche parte in rete (purtroppo non ricordo la fonte e me ne dispiace tantissimo, davvero) e che mi ha fatto innamorare. Si chiama Flor Panichelli, è nata in Argentina, ha origini italiane e adesso vive a Londra per motivi sentimentali: già basta questo a renderla interessante. Se a ciò si aggiunge che realizza bellissime figure in terracotta, bestiali e poetiche al tempo stesso, il risultato è un'artista da segnare in agenda per i sogni di shopping più sfrenato (anche in questo caso, non me lo posso permettere, sigh). Qui la sua galleria su Flickr e il negozio su Etsy.

mercoledì 3 aprile 2013

12/52 e un altro insegnamento



Proprio la scorsa volta dichiaravo con fierezza che, ogni settimana, riesco sempre a trovare una foto significativa da fare per questo progetto. Blateravo sul fatto che, nonostante l'ansia di non riuscire a scattare una foto in tempo, alla fine la foto si materializzava sempre, anche all'ultimo momento. Balle. Questa settimana mi smentisco immediatamente. Nessuna foto che abbia un senso, nessuna immagine che ritragga un avvenimento degno di nota di questa settimana passata, niente di niente. Sarà che è stata una settimana strana, sarà che la mia depressione con la pioggia galoppa e non riesco più a vedere il bello intorno a me, sarà che mi dico di essere creativa e invece non lo sono, sarà quel che sarà, insomma  stavolta non ci sono riuscita. Ma niente paura. Doveva arrivare questo momento. Fa niente, considero anche questo come una parte del progetto: un esercizio di costanza, di pazienza, di perseveranza, una terapia contro la mia tendenza ad abbandonare alla prima difficoltà. E quindi si va avanti. Ah, che poi alla fine una foto l'ho messa. Niente di che, ma tanto per.

martedì 2 aprile 2013

Celebrity Camera Club

Ve l'ho già detto che ho una passione sfrenata per Tumblr, giusto? Ci sono dei blog lì sopra che sono una festa per gli occhi, una fonte continua di bellezza e di meraviglia. Mi piace il fatto che non ci siano quasi mai parole su Tumblr, ma solo immagini, immagini, immagini. A volte unite in maniera casuale, altre con un preciso filo conduttore. Come in questo blog, chiamato Celebrity Camera Club, che non poteva non piacermi (tipo...alla follia): un insieme di foto che ritraggono celebrità con una macchina fotografica in mano. Beh, chi mi conosce bene sa che una scoperta del genere può scatenare (trattenute) grida di gioia! Eccovi alcune foto, se ancora non conoscete questa meraviglia.