lunedì 30 giugno 2014

Tea for Two

Torna Daria con un Tea for Two che le ho chiesto con insistenza.  Sapendo del suo incontro con Guido Harari, volevo che mi raccontasse quel momento, quell'emozione, quella gioia incredibile nell'incontrare una persona così importante. E lei lo ha fatto in maniera magistrale, ovviamente. Buona lettura. 


Arriva l’estate e su internet si sta sempre meno.
Una disintossicazione che si accompagna alle giornate che si allungano, ai giri in moto, alle birre all’aperto, ai concerti. Ehhh. Hai voglia.
Chissà perché, dai tempi della scuola, ci portiamo dentro quella sensazione di stacco a metà giugno. Abbiamo interiorizzato quell’orologio che ci regala sempre l’impressione (ormai illusoria, ahinoi) di avere davanti tre lunghi mesi di vacanza.
Per questo il mio capodanno scatta sempre a settembre. Il capodanno dei buoni propositi, dei progetti, della ripresa.
Ma di questo parleremo a tempo debito.

La mia estate è iniziata sotto la pioggia, con un giro in auto anzichè in moto, per le Langhe.
Non tanto distante, quindi. Pertanto uno dei preferiti dalla sottoscritta che, oltre a sentirsi un po’ a casa in quelle terre, non ama preparare valigie e affrontare viaggi lunghi e lontani.
Lo dico, sì, vorrei andare in Norvegia, ma poi mi basta la celebre Pedaggera per sentirmi fuori dal mondo.
E Alba non sarà Bergen, ma nel suo piccolo fa la sua porca figura.

Soprattutto per la tappa obbligata alla Wall of Sound Gallery che tanto bene vi descrisse la Queen
Tappa che questa volta si è rivelata particolarmente emozionante perché dentro c’era proprio lui, il mito, l’uomo a cui vorrei chiedere mille cose, che vorrei invitare una sera a bere per farmi raccontare di Tom Waits, di Lou Reed e di Frank Zappa, dei fotografi che a sua volta ha incontrato, della magia della pellicola e poi di musica, musica e ancora musica.
Immaginate la mia faccia quando, fotografando la galleria dall’esterno, ho visto il sorriso di Crösa che mi indicava Guido Harari seduto dentro.
E lo so che la galleria è sua e che c’è poco da sorprendersi nel trovarlo lì, ma io generalmente non ho culo tempistico in questo genere di cose.

L’occhio di Guido Harari su Tom Waits

Entriamo e lui ci accoglie con un bel sorriso e un “prego, accomodatevi, guardate tranquilli e se volete, chiedete”.
Guido, tu non sai cosa hai rischiato con quel “se volete, chiedete”. Ma per fortuna l’emozione è tanta, per il posto innanzitutto, un santuario di musica e fotografia (la prima volta in cui ci entrai ero talmente in estasi che, usciti da lì, Crösa ne approfittò per comprarsi una moto e io quasi non me ne accorsi. Mossa magistrale).
E poi l’emozione è tanta, naturalmente, perché questa volta c’è lui.

Finito il nostro giro, lo guardo, lui mi guarda in attesa e sento che gli devo proprio dire almeno una cosa. Sapete quando vi scoppia nella testa una frase che vorreste dire da tempo e si presenta l’occasione perfetta?
Così con la faccia rossa rossa, le orecchie roventi e lo sguardo un po’ abbassato riesco a dirla:
“Ogni volta me lo chiedo e non so cosa rispondermi. Ma non so davvero se invidio di più lei che li ha conosciuti o loro, che stati fotografati da lei”.

Lou Reed e Guido Harari. E io dov’ero?

Sarà stata la tenerezza infinita che gli ho fatto, con la faccia rossa e la custodia della macchina fotografica al braccio, ma è scoppiato a ridere dicendo “troppo buona, non esageriamo”.
Da lì abbiamo chiacchierato un po’, ci ha invitati alla prossima mostra su Jeff Buckley a settembre e siccome andando via ci ha stretto la mano, una volta fuori ho imposto subito la mano che mi aveva toccato sulla mia macchina fotografica, sperando in una benedizione imminente.
Poi mi guardavo la mano che aveva stretto la sua che, a sua volta, aveva stretto quella di Lou Reed Tom Waits Frank Zappa e tanti altri e che tante macchine fotografiche aveva toccato ed era un po’ come se tutte quelle cose le avessi fatte pure io.

In questa giostra di emozioni, mercoledì sono andata a vedere gli Aerosmith.
Io sono là ancora adesso ma se in questo momento mi dicessero “dai, esprimi un desiderio”, beh, io vorrei fotografare Steven Tyler. Un set vero e proprio, ideato interamente da noi due, con lui e tutti i suoi colori lì, davanti al mio obiettivo.
E alla fine gli chiederei solo: “dai, Tallarico, dedicami un urlo”.

I Toxic Twins a Milano (25/6/2014). Foto di Francesco Prandoni

giovedì 26 giugno 2014

Intervista a La Zia Inuccia

Ogni venerdì su due, per un po' di tempo, leggerete un'intervista a una magica creatrice di A Little Market. Ho aperto le danze, quindici giorni fa, con Rita di Faccio e Disfo Handmade. Questa settimana è la volta de La zia Inuccia, uno shop dove si vendono bijoux all'uncinetto a forma di frutta, anelli mongolfiera e collane colorate (e molto altro ovviamente). Un universo fanciullesco che mi ha stregata, fin dal primo momento in cui l'ho visto. Oggi conosciamo Serena, la creatrice di questo mondo incantato. 



Ciao cara, avresti voglia di cominciare questa chiacchierata raccontandomi qualcosa su di te?
Sono una dispersiva, mi interesso di tutto prima o poi, ho una curiosità insaziabile e penso mille cose al secondo, in certi momenti vorrei davvero spegnerlo il cervello, devo decidermi a provare  la meditazione prima o poi; leggo tanto e impazzisco per l’odore dei libri; ho sempre percepito una vena creativa, la tenevo sopita durante gli studi scientifici, ma alla fine è esplosa con tutta la forza di cui sono capaci gomitoli e uncinetto; sono felice perché ho due nipotine fenomenali ed un compagno che adoro.

Scusa ma devo proprio chiedertelo, perché “La Zia Inuccia”? (Lo so, sono una gran curiosona)
Un nomignolo affibbiatomi da mia sorella, non saprei nemmeno dire quanto tempo fa, vezzeggiativo di “Ina”, a sua volta diminutivo di “sorellIna” (una mente contorta, lo so) e, così, mi han sempre chiamato le mie due nipotine, per cui sono diventata LaZiaInuccia.



Come e quando è nata la tua passione per l’handmade? Ti dedichi solo all’uncinetto oppure hai altre passioni creative?
Ho cominciato per caso, di rientro da un anno passato sull’isola di Tenerife, seguendo un gruppo di amiche che stava avviando un’attività handmade, The Babbionz, e contemporaneamente organizzavano workshop che mi sono sembrati subito entusiasmanti e mi sono buttata. Cominciando dal dipingere le tovagliette per la colazione con timbri improvvisati dai tappi di sughero, passando per la realizzazione di un cuscino al punto croce e finendo con la scoperta della mia grande passione, l’uncinetto!!!  Con tutto questo realizzando il piacere che possono trasmettere le attività manuali. Anche durante la ristrutturazione di casa, per esempio, mi sono divertita moltissimo a restaurare vecchi mobili e a dipingerli con le vernici ad acqua di tutti i colori o a riportarli semplicemente al loro vecchio splendore. E ho avuto anche modo di appassionarmi all’home-decor, che ho sempre amato, così è nato ad esempio il paralume con la scritta realizzata all’uncinetto “You’re the colour” , da un testo di The Notwist, oppure i fruttini amigurumi, le presine e i sottotazza a forma di casetta. Insomma mi piace spaziare a 360° e provare a realizzare tutto quello che mi viene in mente. In questo momento sto provando a confezionare t-shirt con delle applicazioni realizzate sempre all’uncinetto, cosa che volevo fare da tanto, in vista dei prossimi mercatini estivi.  

Nel tuo negozio ci sono carote che diventano collane, gelati sorridenti  da appuntare sulla giacca e mille altre magie. Da dove trai l’ispirazione per realizzare le tue meravigliose creaturine? 
L’idea di dare questo nome alla mia linea di accessori deriva un po’  dal fatto che molto spesso sono proprio le mie nipotine ad ispirarmi, “zia, facciamo un lavoretto?” mi chiedono nei pomeriggi invernali, costringendomi ogni volta ad inventare qualcosa di nuovo, che sia con la carta, con i fili o con le stoffe ci divertiamo molto insieme. E tutto l’immaginario degli accessori LZI è un po’ bambinesco: ci son carote che sorridono penzoloni da una catenina, borsette a forma di panda o di maialino, banane-spilla attaccate a una maglietta, anelli-mongolfiera e presine-toast con tanto di uovo rotto sopra, per fare qualche esempio.



L’handmade è il tuo lavoro principale oppure “solo” un hobby? Nel caso sia un hobby, ti piacerebbe farlo diventare un lavoro a tempo pieno? Hai qualche sogno in proposito? 
Anche se per ora l’uncinetto rappresenta per me soltanto un hobby, a tratti assume le sembianze di un piccolo lavoro, in occasione dei mercatini ad esempio, ed è la cosa che più mi riempie di gioia scorgere la sorpresa sui volti di chi per la prima volta magari si trova di fronte a oggetti realizzati a mano e ti domanda “ma questo l’hai fatto tu? ma come fai?” e apprezza a tal punto da volersi portare dietro il piccolo accessorio capace di strappare un sorriso. Un’altra cosa che spesso mi dicono le ragazze che incontro è che anche loro vorrebbero imparare, così a volte penso che mi piacerebbe un giorno cimentarmi ad organizzare dei workshop.

E infine, la domanda di rito: quali sono le tue creatrici preferite su A little market?
“Enjoy the little things” è sempre stato il mio motto di vita e da pochi giorni ho questa scritta sulla mia sacchetta per i gomitoli, realizzata da Thelapisu. Ma sono moltissime le creatrici di ALM che adoro, chiaramente le amiche di mercatini e concittadine TheBabbionz e le Cugine Mancine, la guru Gaia Segattini e Ohioja, Rita di Faccio e disfo, Enrica Trevisan e tantissime altre davvero. 

Gli Arcade Fire e la musica

(foto radionoir.it)

Mentre ero lì, in mezzo alla folla, mi son detta: "questo devo raccontarlo". Ma come faccio a raccontare quella gioia, quell'esplosione di felicità, quella commozione, come se il cuore non fosse grande abbastanza per ospitare tutta la gratitudine? Beh, non ci sono parole adeguate per esprimere quello che ho sentito, io non so trovarle. Perché per me andare ai concerti non vuol dire sentire se un cantante è bravo, se sa suonare (che poi manco sarei capace a giudicarlo), se sa tenere il palco (che poi cosa vorrà mai dire). No, per me andare ai concerti è un atto d'amore. Allo stato puro. Nient'altro. E l'ho capito, ancora una volta, l'altra sera a Verona, al concerto degli Arcade Fire. Quando Régine ha intonato Sprawl II, la mia canzone preferita, è stato come se ci fossimo solo io e lei lì, come se la folla si annullasse e lei cantasse solo per me. Come se lei sapesse che quella è la mia canzone preferita e sapesse cosa provo ogni volta che la ascolto. 

Andare ai concerti per me comporta un rituale ben preciso. Arrivare presto, ma non troppo. Bere una birra, subito, appena entrati. Vagare un po' per il posto, cercando di capire quale possa essere la posizione migliore. Dare un'occhiata al banchetto delle magliette. Bere un'altra birra, se c'è tempo. Perché poi, quando inizia il concerto, ciao a tutti, non ci sono più per nessuno. Si spengono le luci, mi partono le farfalle nello stomaco ed inizia il mio film. Un film fatto di caldo, sudore, luci in faccia, braccia alzate e le canzoni che mi accompagnano da una vita. Se riesco a non cedere alla curiosità, evito di cercare la scaletta del concerto, così da godermi anche la sorpresa all'attacco delle canzoni che amo. Per me i concerti sono un'esperienza quasi mistica e per questo odio chi riprende il concerto col telefono invece di goderselo, chi scatta foto a manetta, chi parla in continuazione, chi si porta l'ombrello e pretende di usarlo. Dio santo, gente, e godetevi quello che state vivendo. 

Perché la musica è una cosa importante, quasi sacra. Chi non la ama quanto la amo io, non si rende conto. Per molti è un sottofondo da tenere in macchina, due cuffiette di mettersi alla spiaggia per passare il tempo, la radio accesa quando si fanno i lavori di casa. Per me è ben altro, è una cosa davvero seria, sulla quale non sono disposta a scherzare. La musica ha un potere immenso, il potere di parlare di me stessa e a me stessa. Ci sono cantanti che sembrano sapere tutto di me e canzoni che raccontano la mia vita. Ci sono pezzi che associo a momenti indelebili e che porterò con me per sempre. Ci sono brani che ascolto e riascolto solo per una frase, due parole, un ritornello. Perché quella frase, quella parole, quel ritornello sono scritti per me. Ci sono cantanti che sanno tutto di me. Loro sono Amanda Palmer, gli Arcade Fire, gli Smiths e gli Arctic Monkeys e io li amo come amo i miei amici. Loro sono miei amici. E voi? Provate la stessa cosa anche voi? O sono la solita matta solitaria? Uhm, se vi conosco bene, direi di no, c'è qualcuno lì che mi fa compagnia nella mia follia. Vero?

mercoledì 25 giugno 2014

In viaggio con Michela: Maine

Finalmente un post di Michela dedicato a un luogo su cui posso dire la mia anch'io, il Maine! Se tutti i viaggi raccontati nelle puntate scorse erano per me solamente dei desideri ancora da realizzare, in questa meravigliosa zona d'America sono stata tempo fa, in viaggio di nozze. Come racconta Michela, anche nel mio caso si trattava di un sogno accarezzato da anni, alimentato da troppe puntate di Dawson's Creek (che tecnicamente non è in Maine, ma insomma, il paesaggio è lo stesso). Il Maine è stato all'altezza dei miei sogni più belli, ma lascio che sia Michela a raccontarvelo. 

Non ho letto nessuno dei famosi libri di Stephen King ma ho fatto indigestione di puntate del telefilm "La Signora in giallo". E’ iniziato tutto così. 


La mitica giallista detective Jessica Fletcher si può dire mi abbia accompagnato per tutta l'adolescenza, attendendomi puntuale al rientro da scuola, ogni giorno, per dodici lunghi anni. 
Cabot Cove, il paesino "inventato" situato nel Maine era, nel mio immaginario, il luogo dove avrei desiderato vivere. Una cittadina tranquilla affacciata sull'Oceano, con il porto affollato di barche e piccole case in legno, abitata da anime serene e cordiali. Ditemi, non è il sogno di tutti? 
Gli anni passavano ma il desiderio di visitare il Maine non sbiadiva e in occasione di un compleanno speciale a cifra tonda il sogno è diventato realtà. 


Due settimane in giro per il New England durante la stagione d'oro, proprio così, quando la natura passa dal verde al colore oro, rosso e arancione. 
E' stato come entrare in un quadro. Le chiese candide dai campanili aguzzi, i villaggi di pescatori, l'eleganza di Boston, le fattorie dal tetto rosso, le opulenti ville a Martha's Vineyard, i ponti coperti nel New Hampshire, le foreste e i laghi nel ruvido Vermont. I pancake con lo sciroppo d'acero, le grandi mangiate di aragosta nei bistrot e le famiglie che scelgono la zucca per Halloween. Ma anche il barattolo di burro di noccioline e le maple tofee che hanno deliziato i lunghi spostamenti in auto. 


E il Maine, che mi ha regalato i giorni più belli. Il Maine da cartolina della Penobscot Bay, con i suoi chilometri di costa frastagliata affacciata sull'Oceano Atlantico, dove onde fragorose si infrangono sulla sabbia e finiscono in spuma. Indimenticabile la passeggiata sulla spiaggia di Ogunquit sorseggiando tè fumante e le conchiglie sotto i piedi. La brezza dell'oceano è qualcosa che non si può dimenticare. Come i fari, grandi nei sogni e piccoli quando li avvicini. Il Nubble Lighthouse a Cape Neddick è stato il primo. Il mio primo faro. Un'emozione inspiegabile. 


E’ difficile cancellare dagli occhi le luci delle cittadine del Maine all’imbrunire. Quelle piccole luci fioche delle lampade dietro le finestre, dove entrava il mio sguardo a fantasticare su atmosfere calde e famigliari. Ovunque ho provato grandi suggestioni, come arrivare nel villaggio di Kennebunkport che ci ha accolto la prima sera, con i suoi piccoli bar, le vetrate dei locali eleganti, le botteghe di antiques e migliaia di piccole luci a definirne i contorni. 


Ho conosciuto una parte di America che è stata approdo dei coloni europei alla scoperta del Nuovo Mondo e che conserva ancora l'atmosfera di quei tempi. L'America colta, delle università prestigiose. Un'America che viaggia a ritmo lento, dove semplicità, eleganza e gentilezza nei modi caratterizzano i tratti e l'anima di chi la abita. 

Profumo di lavanda nell'aria, arrivederci a luglio!

venerdì 20 giugno 2014

Wishlist del venerdì

Buongiorno, amici cari, come state? Io sto bene, ma la quotidianità, in questo periodo, mi tiene un po' lontana dal blog e la cosa mi dispiace molto. Questa piccola casa virtuale è un bellissimo rifugio e, quando sono costretta ad assentarmi per fare cose prosaiche come lavorare, devo ammettere che mi manca tantissimo. Ma vabbè, oggi è venerdì, c'è un bellissimo sole e io non potevo certo farmi mancare la wishlist del venerdì. Certe abitudini non vanno mica abbandonate, no? 

1. Visto che negli ultimi mesi ho sistemato un angolo di casa per ricavarne uno studio, m'è tornata prepotentemente la mania delle stampe e dei poster (mania che avevo ormai sedato a causa della mancanza di pareti libere). Purtroppo, usando quelle che avevo da parte e andando a recuperare a casa dei miei quelle che mi seguono da anni (tipo una fotografia di Hemingway che ho appesa in camera dai tempi del liceo), ho praticamente finito lo spazio a disposizione. Mannaggia, ché se avessi ancora un angolino, comprerei questa che vedete sotto. Si tratta di una stampa di Blanca Gomez, un'illustratrice spagnola il cui negozio su Etsy è pieno di stampe delicate e dal gusto un po' vintage. Io le amo tutte d'un amore intenso che dura da anni e credo sia arrivato il momento di concretizzare la cosa. Eh, sì. Mi sa che un angolino lo troviamo. 


2. Recentemente, una carissima lettrice di questo blog (nonché mia vicina di casa, per qualche tempo, una vita fa) mi ha mandato un link a una pagina facebook, scrivendomi una cosa del tipo: "penso potrebbero piacerti". Apro la pagina e scopro un mondo incantato. Amore a prima vista, come spesso (molto spesso, vero amici miei?) mi capita. La pagina è quella de Le Sardine, un mondo magico fatto di bijoux a forma di pesce e di borse che richiamano l'antica usanza di farsi una sporta annodando i lembi di un fazzoletto, proprio come faceva mia nonna quando andavamo a fare merenda nei prati. Queste borse si chiamano Mandillo Bag, perché le creatrici sono liguri (mandillo in ligure significa fazzoletto), anzi savonesi!!! Ma come, tanta meraviglia a due passi da casa e io non ne ero a conoscenza??? Devo recuperare subito e devo correre a comperare questa meravigliosa collana che vedete sotto. Ma anche una spilla, credo. E la borsa? Beh, la borsa non posso mica farmela scappare...eh.


3. E, infine, una follia. Quel desiderio che tengo lì e non realizzerò mai. Un gradino sopra la giacca di paillettes e la gonna di tulle, che non ho ancora acquistato solo perché non ho ancora trovato l'occasione giusta per indossarle, no no, quel desiderio che desideri già ben sapendo che non diventerà mai realtà, ma che ti coccoli nei pensieri, sorridendo con la testa tra le nuvole. Insomma, vengo al punto, sapete cosa vorrei tanto? Una coroncina di fiori. Anzi, diciamo meglio, vorrei vivere una vita che mi permettesse di indossare una coroncina di fiori. Niente paesino di provincia, ma una spiaggia californiana, festival come quello di Coachella e lunghi capelli biondi. Sì, a volte mi perdo in pensieri del genere, ma di solito durano lo spazio di una passeggiata con il cane. Poi torno alla realtà. Però, diciamocelo, la coroncina sotto la si potrebbe anche comperare, no? Se volete farlo, la potete trovare nel negozio Etsy ThreeBirdNest, insieme a un sacco di altra roba fighissima (e alla solita modella bionda, mannaggia).

lunedì 16 giugno 2014

Il sogno più dolce - Doris Lessing


Questo libro è stato il regalo più grande del Project 10 Books. Ormai è finito da tempo, questo folle progetto, e alcuni dei libri che ho letto mi sono piaciuti tantissimo, ma in qualche modo lo sapevo. Sapevo che avrei adorato Stoner oppure La trilogia della città di K. e che mi sarebbe sicuramente piaciuto molto Rosso Istanbul. Ma questo libro è stata una meravigliosa, inaspettata sorpresa. Beh, grazie, facile, è un libro di una scrittrice premio Nobel, potevi immaginartelo cara Cindy. Certo, sicuramente, ma questo libro l'ho comperato nel lontano 2002 e, insieme a quello di James Ellroy, s'è fatto un po' di giri insieme a me, senza che io provassi mai la tentazione di aprirlo. Quando ho deciso di includerlo nel progetto di lettura di questi mesi, manco sapevo quale fosse la trama.  

Ma forse è stato meglio così. Perché alla terza pagina ero già innamorata, preda di un colpo di fulmine bruciante come quelli che ti prendono a quindici anni. Questo libro mi ha portato via tempo e sonno, ma mi ha regalato emozioni intense come pochi. Adesso sono in pieno trip da Doris Lessing e vorrei leggere tutta la sua bibliografia, tanto questo libro mi ha preso il cuore. Cosa c'è in questo libro? C'è la storia di una famiglia un po' strana e ci siamo un po' tutti noi. Infatti le vicende della famiglia si inseriscono nel quadro più ampio della storia contemporanea e ci sono le guerre, le illusioni degli anni '60, la ribellione dei '70, gli anni '80 e il flagello dell'Aids, il tutto inserito in una feroce critica del mondo occidentale, con la sua superficialità e stupida presunzione.

In questo libro ci sono personaggi meravigliosi, dipinti con una maestria tale da lasciare senza parole. C'è Johnny, il comunista che vive solo per la rivoluzione e per il partito, idolatrato dalle folle e ferocemente odiato dalla sua famiglia, per la sua indifferenza e mancanza di responsabilità;  c'è Frances, la moglie che sacrifica tutta la vita prima per lui, poi per i figli, poi per degli illustri sconosciuti, sempre pronta a rinunciare a se stessa per aiutare chiunque intoni un grido d'aiuto; ci sono i figli, sballottati e confusi;  la nonna, Julia, chiusa nel suo dolore e nella freddezza di donna d'altri tempi e c'è un'intera folla di ragazzi, amici, colleghi, parenti, ognuno di loro con il proprio bagaglio di vita e il proprio carico di follia.

E poi c'è lei, la vera protagonista di questo libro: la casa. Una grande casa signorile di Londra, la cui porta è sempre aperta ad accogliere chi passi di lì: gli amici dei ragazzi, i parenti in difficoltà, i compagni in cerca di sostegno, fino ai ragazzini africani senza più nessuno al mondo. Tutto questo senza il minimo buonismo, ma in un inferno di discussioni, litigate feroci, risate, voci, pianti. Una grande casa viva e sincera nella sua stranezza, dove tutto ruota intorno alla cucina, al centro della quale troneggia un grande tavolo dove compare sempre del tè, un dolce fatto in casa, cibo in abbondanza e cene di Natale riscaldate. Una cucina dove ti senti a casa anche tu, lettore lontano, perché per pagine e pagine ti sei seduto lì, hai ascoltato, riso, ti sei commosso e dove ogni sera avevi voglia di tornare perché ormai eri di famiglia. 

venerdì 13 giugno 2014

Intervista a Rita Bellati di Faccio e Disfo Handmade

Qualche tempo fa, A Little Market mi ha contattata chiedendomi se avessi intenzione di scrivere qualche post su di loro, in modo da raccontare un po' la loro attività. Ho ricevuto altre proposte del genere in passato, ma ho sempre declinato l'invito, perché si trattava di realtà a me poco conosciute, di cui non sapevo bene che dire. Ma l'invito di A Little Market l'ho accettato al volo e con estremo entusiasmo, perché - voi lo saprete già - adoro il loro sito. Per chi non lo sapesse, si tratta di una piattaforma di vendita online dedicata all'handmade e ci sono dei bellissimi negozi virtuali, con creatrici davvero talentuose. Io ne sono innamorata e mi fa piacere - nel mio piccolo - far loro pubblicità. Mio obiettivo sarà raccontarvi delle creatrici che più amo e farvele conoscere meglio, grazie anche alle loro parole.

Questo progetto non poteva non iniziare con Rita Bellati di Faccio e Disfo Handmade. Rita è la favolosa creatrice delle Myselfie, collane realizzate con mollettine vintage trasformate in piccole donne magiche da portare al collo. Le Myselfie possono essere personalizzate, create a propria immagine e somiglianza, nel più piccolo dettaglio. Io ne possiedo già due, che amo come se fossero mie figlie, ma ne vorrei ancora e ancora e ancora. Rita però non è solo la creatrice delle Myselfie, è una donna piena di vita e di bellezza, una fucina di creatività e di meraviglia, che potete trovare nel suo blog Faccio e Disfo, che io - assolutamente priva di manualità - guardo con gli occhi sgranati per l'ammirazione. Ma sentiamo un po' cosa dice lei...


Ciao! Ci racconti un po’ chi è Rita?
Rita è una ragazza (donna mi fa impressione!) nevrotica, una moglie felice, una mamma under construction, un’amica distratta, un’incapace dimostratrice d’affetto, una crafter compulsiva, una eterna ricercatrice del bello e del vero.

Tu sei mamma, blogger e artista. Qual è il tuo sogno (lavorativo) per il futuro?
Questa domanda è difficile (e tu lo sai visto la nostra esperienza comune al Blog Lab!!). Partiamo dalla prima cosa che hai detto: essere mamma è stato l’origine del mio essere pseudo-blogger (perché questa veste non è ancora quella che mi si addice) e del mio scoprirmi pseudo-artista (perché diciamocelo: io faccio un sacco di cose che hanno ben poco di artistico). Il punto è che mi sono ritrovata su questa strada senza capirci nulla o senza avere la minima idea della direzione. E’stata una scoperta anche per me. Penso che il modo migliore sia continuare a percorrerla stando attenta ai segni, avendo l’intelligenza di cogliere i sentieri giusti da imboccare, ma soprattutto avere le persone giuste a cui chiedere e da seguire. Io non sono un’amante dell’indipendenza, anzi il contrario, quello che mi rende serena sul futuro è sapere di potermi appoggiare, di poter dipendere da chi vede più in là di quello che vedo io.
Ho tanti desideri sul futuro, ma se mi devo focalizzare sul lavoro, mi piacerebbe poter vivere grazie alla mia manualità. Come questo possa diventare realtà è ancora un’idea fumosa.
Chesterton diceva “la vita è un’avventura, ma solo l’avventuriero lo scopre”, che detto alla Bruce Springsteen si traduce in “Born to Run”… e io continuo serenamente a correre.



Leggendo il tuo blog si capisce immediatamente che sei una persona incredibilmente creativa, che riempie il proprio mondo di mille invenzioni colorate. Quali sono le tue più grandi ispirazioni?
Lo ripeterò fino alla nausea: i miei figli. Loro mi hanno spinto a inventare, a provare a mettere in moto le mie mani arrugginite da 20 anni di studio. Lo dico sempre: io sono una pessima madre, soprattutto nel dimostrare quanto io sia grata di averli accanto. E allora non so fare altro che pasticciare con loro e questo continuo stimolo creativo mi rende vivace anche nel guardare tutto il resto: gli accessori, le borse, le maglie. Loro mi hanno insegnato quello che io non sapevo di me, e spero prima o poi di imparare a dirglielo anche con la voce e i gesti.

Nel tuo negozio su A Little Market vendi le Myselfie, meravigliose mollette vintage trasformate in donnine piene di charme. Come sono nate? Come ti è venuta l’idea?
Ho scoperto le mollette vintage sui blog americani, ho visto che alcuni provavano a trasformarle in persone. Così ci ho provato anche io (e fin qui non ho inventato nulla).
Una volta però per fare un regalo ho deciso che volevo ricreare in piccolo la persona a cui volevo regalarla e così è nata la prima Myselfie (che ancora non aveva questo nome). Da lì ho capito che la personalizzazione era la chiave del loro “successo”(nel mio piccolo!!) che è anche la ragione per cui non mi annoi mai nel lavorarle. La diversità di ciascuno è la cosa più bella che ci sia, e io con le Myselfie desidero far riscoprire alle persone la loro unicità.



A quali altre tue creazioni sei particolarmente affezionata?
Alla prima ragazzina che ho dipinto (che è brutta e rovinata ma che continuo a portare al collo con affetto).

Su A Little Market ci sono tante creatrici bravissime. Quali sono le tue preferite?
Che domanda difficile!!!!
Pollaz, Enrica Trevisan, Pinkrain, Gaia Segattini, La Zia Inuccia, Made by Eleonora, Lafraco, Noe’s mind, Bubu’s Handmade, Piccole Cose…. Mi fermo?

mercoledì 11 giugno 2014

Muffin alle fragole e cioccolato bianco

L'estate mi fa venir voglia di semplicità. Se in inverno passo troppo tempo a sfogliare riviste di moda desiderando il conto in banca di Beyoncé per poter acquistare certe meraviglie, in estate entro in una dimensione molto Kinfolk e mi basta che il sole mi scaldi le ossa per essere felice. In estate non ho bisogno di nulla, datemi una birra fresca, un paio di Birkenstock e la possibilità di stare all'aria aperta. Fatemi posare i piedi nell'erba appena tagliata, datemi un libro nuovo e una sdraio all'ombra e io sarò la donna più felice del mondo. Concedetemi infinite serate con gli amici, lunghe camminate in montagna e morsi di focaccia calda nel fresco del primo mattino e vi amerò per sempre. Finestrino abbassato, musica ad altissimo volume e occhiali da sole. Io sono felice così.

Vivo l'estate in una sorta di sospensione, dimenticandomi del futuro, degli obiettivi, della carriera, delle responsabilità. L'estate per me è godimento di ogni singolo attimo, del primo bagno con l'acqua ghiacciata che ti pizzica la pelle, il profumo della crema solare che si spande nell'aria, poter cenare in giardino e chiacchierare fino a che non fa buio, sperando che arrivino le lucciole. L'estate è portare il cane al fiume, tenere le finestre spalancate e improvvisamente non aver più bisogno del silenzio per lavorare, ma anzi godere dei rumori che vengono da fuori, i calci al pallone, i vicini di casa che chiacchierano, un acchiappasogni che tintinna in lontananza. 

L'estate mi riappacifica anche con la cucina. Io amo cucinare a fasi alterne. Ci sono momenti in cui accendo il forno tutti i giorni e altri in cui mangio dalla carta come i gatti. Periodi in cui non manca mai il dolce a colazione e periodi in cui sono la miglior cliente del Mulino Bianco. Idealmente mi vedo vivere in una grande cucina bianca, affaccendata a preparare prelibatezze di ogni tipo, molto più realisticamente sono seduta da qualche parte a leggere contando sulle riserve del freezer per mettere insieme la cena. L'estate però rianima la cuoca che alberga in me. Saranno le occasioni per mangiare con gli amici, l'energia rinnovata che mi spinge a vincere la pigrizia o, molto più realisticamente, la quantità di frutta e verdura che arriva a casa mia in questo periodo. 

Ogni anno, le prime ad arrivare sono le fragole. Cominciano timide a fine maggio, per poi scatenarsi tutte insieme con il primo sole. Adesso siamo nel pieno della produzione, quindi occorre far volare la fantasia e cercare un modo per utilizzarle. Io in generale non ho molta fantasia, figuriamoci in cucina e quindi, dopo aver cucinato di nuovo la torta di fragole e polenta, fatto un po' di liquore da bere in inverno e prodotto qualche barattolo di marmellata, cosa ci volete fare...mi sono lanciata in qualche muffin. Del resto, senza non sarebbe casa di Cindy, ormai credo lo abbiate capito. 


Muffin alle fragole e cioccolato bianco

220 gr. di farina 00
100 gr. di zucchero 
1/2 bustina di lievito
2 uova
100 ml di olio di semi
1 vasetto di yogurt bianco
fragole
1 tavoletta di cioccolato bianco

La solita storia (è per questo che amo i muffin così tanto, sono i signori della semplicità): mescolate tutti gli ingredienti secchi, sbattete le uova, aggiungetevi l'olio e lo yogurt e mescolate bene. Unite i due composti, amalgamandoli per bene, aggiungete le fragole tagliate a pezzettini e il cioccolato in scaglie. Distribuite l'impasto in 12 pirottini e cuocete in forno a 180° per 20/25 minuti. 
PS: se volete cambiare un po', invece del cioccolato bianco, aggiungete un po' di cacao all'impasto. I muffin saranno ancora più golosi, ma sempre facilissimi da fare. Parola di Cindy. 

lunedì 9 giugno 2014

Tea for Two

Torna Daria e ci spinge a riflettere. Su di noi, sulla nostra vita, su cosa vogliamo farne e sull'importanza di avere un obiettivo. Perché ditemi, voi ce l'avete un obiettivo?


Ma scusa perché dovresti avere UN obiettivo?”.
Certe domande ti arrivano come un fulmine, nella loro semplicità.
E’ così che ha controbattuto uno degli angeli della mia vita.
Io: “Beh, perché non si può non avere un obiettivo. Il punto è che io non so in quale direzione devo puntare. So fare diverse cose, ho la passione della musica, della chitarra, mi diverto a fare i dj set, passerei il tempo a scattare foto, scrivere per me è rigenerante, una sorta di linfa, no? Mi diverto anche quando lavoro se riesco a buttarci dentro qualcosa di creativo. Insomma, è come se dentro avessi tanto da tirar fuori, ma non so in che direzione perché sostanzialmente non sono un genio in nessuna delle cose che ti ho detto.”
Il mio angelo ride ripetendo: “Un genio?! UN GENIO?!? Piantala di pensare ai geni e metti insieme tutte le cose che hai detto. Hai un bella combinazione di carte in mano, non scartarne nessuna. Giocale tutte. Non ti concentrare su una cosa sola, anche perché - pensaci - ti sentiresti in grado di sceglierne una? Non credo.”

Pin by Rachael Hayes

Ritornando a casa immersa nel mio mumble mumble, mi sono detta why not? e ho pensato a possibili strade o combinazioni o chiamatele come volete.
E meno male perché io ho un sacco di amici in gamba, ma in gamba proprio. Alcuni hanno le idee chiarissime, puntano in una direzione e la centrano in pieno con enorme successo.
Altri sono altrettanto in gamba, con un sacco di potenzialità, chi nello scrivere, chi nel suonare, chi nel fare foto o video, ma secondo me non ne sono pienamente consapevoli. Fatto sta che io li guardo e mi chiedo: “e chi sono io per fare quella cosa se nemmeno lui, dall’alto della sua bravura, ci prova davvero?”.

Non ho trovato la fonte. Abbiate pazienza se l’avete scattata voi

Ce n’è uno in particolare che per me scrive come se gli dèi lo avessero baciato in fronte appena nato. Quello di cui parlo è Gèc La Mosca e vi assicuro che non conosco nessuno al suo livello, nè per le cose che scrive nè per come le scrive.
Gèc La Mosca è il fuoriclasse della penna (rigorosamente Bic Soft nera) e quando penso a lui non posso non chiedermi: “Ma chi cazzo sono io per scrivere se nemmeno Gèc La Mosca lo fa più?!”

Ora arrivo al finale. Che è duplice.
1) Ho raccontato tutto questo per lanciare un appello a Gèc La Mosca: per favore, scrivi. Perché a me è sempre piaciuto leggerti e se proprio non vuoi scrivere un romanzo o tenere un blog o roba simile, fai una raccolta di pensieri tipo “Il pensiario di Gèc La Mosca”. A me va bene uguale. Perché se tu scrivi, il mondo è un po’ più bello.
2) Tutti noi abbiamo un Gèc La Mosca o un amico migliore di noi in un campo particolare. Beato lui, ma noi proviamoci lo stesso.
Quindi (a chiusa di tutto) io riprenderò il racconto iniziato tempo fa e finito nel cassetto di Google Drive.
Inoltre, supererò il blocco che mi impedisce di suonare come dovrei (o di suonare del tutto) di fronte ai miei amici musicisti.

p.s. ho scelto questo pezzo perché il testo è pieno dei mumble mumble in cui mi perdo passeggiando con una mano in tasca.

mercoledì 4 giugno 2014

46/52 e qualche novità


Buongiorno! Avete visto che bello che è diventato questo blog? Era da tempo che sentivo il bisogno di cambiare qualcosa, lo guardavo e non lo sentivo più mio, come quando si guarda la propria casa e si avverte il bisogno di rinnovare il colore alle pareti, mettere delle tende nuove, spostare la disposizione dei quadri. Ci ho provato da sola, ma non ne veniva fuori niente di ché e allora ho deciso di affidarmi a Silvia di Ghirlanda di Popcorn, che conoscevo perché aveva cambiato il look a Pretty in Mad. Sono felicissima della mia scelta, perché Silvia ha saputo interpretare le mie richieste con grande creatività e soprattutto ha avuto un'enorme pazienza, visto che ho avuto mille dubbi, ho cambiato idea cento volte, insomma...ho rotto le scatole quanto basta! Alla fine, però, il risultato rispecchia esattamente la mia casa dei sogni, con le pareti bianche, tanta luce e qualche tocco di colore. Quindi grazie Silvia, di cuore, sono felicissima.

Ma tutto questo bisogno di rinnovamento non riguarda solo la grafica. Ho bisogno di cambiare qualcosa anche nel contenuto. Non so ancora cosa, ma è qualche tempo che rifletto sui blog, sul loro significato, su come A casa di Cindy possa aggiungere qualcosa di significativo nell'enorme quantità di blog che popola internet. Mi sono chiesta che senso abbiano la pagina facebook, il profilo twitter, la necessità di esserci sempre, perché sparire è un attimo e la rete si dimentica di te. Tutto questo doverci essere, dover pubblicare, doversi ricordare di condividere i post su tutte le piattaforme stava cominciando a innervosirmi. Perché non fa per me, non mi viene naturale, a volte mi dimentico della rete (son sempre una ragazza degli anni '70, che vi devo dire).  E allora ho deciso di rallentare. 

Questo blog è una delle cose più belle che mi siano successe negli ultimi anni, mi ha regalato esperienze bellissime e, cosa più importante di tutte, mi ha fatto conoscere persone meravigliose, alcune delle quali sono diventate delle amiche vere. Adoro scrivere e adoro questo blog e tutto quel rincorrere il mondo dei social e le regole per "il blog di successo" me ne stava facendo perdere la bellezza. Ho capito che non ho voglia di avere successo, se questo vuol dire vivere il blog come se fosse un lavoro. Questo blog non è un lavoro, è la mia più grande passione e voglio viverla come tale. Quindi, d'ora in poi, meno post o forse ancora di più, ché ultimamente ho un gran bisogno di scrivere, meno social e più verità, nessuna pianificazione ma solo la voglia di condividere. Spero vogliate continuare a seguirmi, perché - davvero - siete un dono meraviglioso. E se tutto questo diluvio di parole vi ha confusi, date di nuovo un'occhiata alla grafica: non è bellissima? :-)