mercoledì 11 febbraio 2015

Leggermente: Murakami Blues

Arriva oggi la seconda puntata di Leggermente, la rubrica di libri di Elena, che parla di uno dei miei scrittori preferiti. Siamo tutte sorelle, su questo blog, eh? Grazie Elena e buona lettura a voi! 

La colonna sonora di questo post è qui sotto. Avrei voluto trovare un video ufficiale ma non c'è stato verso; il fotogramma scelto, però, è perfetto per quello che leggerete. Se vi sembra di averla già sentita questa figata elettronica e indie insieme, è una delle musiche del film "Le conseguenze dell'amore": se siete felicemente fidanzati/e o sposati/e vi consiglio vivamente di vederlo, in caso contrario guardatelo comunque, con una buona bottiglia di whisky  al vostro fianco.



Prima di mettermi a scrivere ho pensato e ripensato mille volte. A cosa? All'autore, al libro, al titolo, a tutto.
Di nuovo per bambini? Una vecchia conoscenza o una pubblicazione appena sfornata, magari da una piccola (piccolissima) casa editrice? Un romanzo incontrato per caso o uno dei miei innumerevoli testi sulle piante e sui loro comportamenti?
Nulla di tutto ciò, alla fine.
Complici un ordine in libreria che tarda ad arrivare, il mio letargo nella lettura (non riesco a leggere quasi nulla, per ora) e un tomo con la copertina minimal da troppo tempo posato sul comodino, questo mese ho deciso di scrivere di lui, del mio adoratissimo Haruki Murakami.



Penso dunque che non vi racconterò di un libro in particolare, ma cercherò piuttosto di farvi innamorare almeno la metà di quanto mi sono innamorata io.
Correva l'anno duemila quando per caso comprai una copia di Norwegian Wood (Tokio Blues). Era maggio, mi pare, e stavo per organizzare la mia prima vacanza con le amiche: un mese al mare con i genitori di una delle tre, totalmente libere di prendere il sole, riposarci, divertirci e fregarcene (quasi) completamente di orari e coprifuoco. Il libro che portai sulla spiaggia adriatica, battuta dal vento e da un sole traditore che mai mi scorderò, fu proprio Norwegian Wood. Lo lessi tutto d'un fiato e mi piacque talmente tanto che, silenziosamente, feci un patto con me stessa: ogni primavera avrei comprato (e letto) qualcosa di Murakami.
Non credo di aver rispettato proprio tutti gli appuntamenti, ma quasi: se infatti scorro la prima fila di libri nella mia nicchia verde, ne trovo davvero tanti di questo autore. Eccoli.

1Q84 Volume I e 1Q84 Volume II, gli ultimi letti, attesi con ansia in libreria, con altrettanta ansia divorati qui sull'Albero e raccontati sul blog ormai qualche tempo fa.
Kafka sulla spiaggia, che ricordo mi portavo a lezione, quando già sapevo che non sarei stata ad ascoltare le parole del professore e avrei preferito perdermi tra i famosi gatti di Haruki. 
L'arte di correre è un regalo che lessi nella vecchia casa, in un momento di febbre trascorso mollemente nella "Tana" e non mi piacque granché: la prima (e per ora unica) delusione.
Nel segno della pecora e Underground li comprai sempre quando vivevo in Campopisano, uno assurdo e visionario come solo i libri di Murakami sanno essere, il secondo invece forte, duro e realistico, così cita infatti il sottotitolo: "Racconto a più voci dell'attentato alla metropolitana di Tokyo". 
L'uccello che girava le viti del mondo è forse quello a cui sono più affezionata, perché lo portai con me in ospedale quando rimasi lì un bel po', circondata da notizie non proprio semplici da affrontare. Ricordo che parenti e vicini mi regalavano riviste, giornali e fumetti, ma io preferivo aprire il grosso libro azzurro e andarmene con lui.
A sud del confine a ovest del sole e Tutti i figli di Dio danzano li rammento poco e tendo a confonderli, nonostante i titoli mi piacciano moltissimo. 
Restano quindi nella mia nicchia Dance Dance Dance, un libro bellissimo e pieno di musica e poesia e Norwegian Wood (Tokio Blues), di cui vi ho parlato all'inizio. 



Quello che ancora non ho citato e che è "la vera causa" di questo post si intitola La fine del mondo e il paese delle meraviglie: come da tradizione l'ho iniziato la primavera scorsa, mi ha seguita durante i viaggi di lavoro, nelle serate passate sul divano, nei week end a casa di mamma e solo pochi giorni fa ho voltato l'ultima pagina. Un parere in una sola parola? Fatica. Quella che ho impiegato a leggerlo, quella dei protagonisti, quella di quasi tutti i personaggi che Haruki descrive nelle sue storie: persone che trascorrono vite semplici e complicatissime nello stesso tempo. Esistenze scandite dalla presenza di gatti, acqua, caffé, superalcolici, sesso e magia, racconti sospesi tra realtà e fantasia dove i più banali problemi di lavoro si intrecciano con intrighi politici e religiosi di enorme portata. Mistero, fiducia, silenzio, educazione, inevitabilità, rispetto sono solo alcune delle parole che mi vengono in mente pensando a tutti i libri di Murakami che ho letto. Compreso l'ultimo, composto da due storie parallele e complicate che si alternano dalla prima alla cinquecentonovesima pagina, tra animali mitici, creature mostruose, ragazze sovrappeso vestite di rosa e cinici tecnici informatici  che sembrano poter convivere tranquillamente.
Credo di non dover aggiungere altro, perché Murakami non lo si spiega, lo si legge: questo penso sia l'unico modo per amarlo davvero, senza riserve, a costo di trascinarsi dietro un libro per quasi un anno e non arrendersi mai.


Come avevo annunciato nella prima puntata di Leggermente, c'è l'idea di riprendere una citazione del libro alla fine di ogni post; visto che quest'oggi non ho scritto di un romanzo in particolare ma di un autore e del suo stile, ho deciso di lasciarvi con l'ultima parola di La fine del mondo e il paese delle meraviglie. Perché, vi svelerò un segreto, ogni volta che compro un nuovo libro faccio sempre due cose (dopo averlo annusato): lo apro a caso e ne leggo una frase, corro alla pagina finale e guardo l'ultima parola che c'è.
In questa serata finalmente davvero invernale, la parola che Haruki ha scelto per chiudere non poteva essere nessun'altra, se non neve.

2 commenti:

  1. mai letto Murakami! quindi me lo consigliate? mi ha sempre incuriosito ma non l'ho mai avvicinato immaginandolo troppo impegnativo o triste o faticoso, chissà perché.

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  2. Io te lo consiglio un sacco! Ma, se non si fosse capito, sono un tantino di parte...

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